Martino Melis: “Verona e Cagliari, pari rango. Occhio all’exploit di San Siro, ma se la si sblocca subito…”

Martino Melis ai tempi in cui allenava a Empoli

Martino Melis ai tempi in cui allenava a Empoli

Le prime tre serie del calcio italiano giocate da protagonista, con Empoli, Chievo Verona ed Hellas Verona. Il sogno non realizzato di vestire la maglia del Cagliari e ora una nuova avventura da allenatore che, dopo le esperienze nelle giovanili dell’Empoli (dove ha allevato Rugani e Hysaj, ora in Serie A), aspetta di avere la chance che conta. Martino Melis, negli anni Novanta, era tra i pochi calciatori sardi capaci di presenziare ad alto livello. Si è consacrato a Verona, e allora la sfida tra Hellas e Cagliari (di cui è tifoso) avrà un sapore particolare per l’ex ala nativa di Pula.

Il rossoblù del Cagliari non l’hai mai indossato, ma il match di sabato lo guarderai probabilmente con un occhio di riguardo: il tuo Verona ospiterà i sardi. Che partita prevedi?

Sicuramente Verona è un campo difficile. La squadra di Mandorlini ha un assetto tattico completamente diverso rispetto a quello dell’Inter che il Cagliari ha affrontato domenica a Milano. Il Verona si difende con tutti gli uomini tranne Toni dietro la linea della palla, facendo densità, togliendo la profondità che tanto piace agli avanti del Cagliari. In questo contesto diventa molto più difficile trovare spazi da sfruttare, anche perché il Verona non si sbilancia nemmeno quando va in svantaggio. Credo che l’ideale sia un colpo in grado di sbloccare la partita nelle fasi iniziali, ma il Verona ha giocatori di alto livello. Sarà un’ottima partita, con meno situazioni offensive e spettacolari rispetto a quanto viste al “Meazza”.

Verona squadra di rango superiore?

No, non credo. Secondo me sono due formazioni della stessa caratura. Entrambe hanno le medesime potenzialità. L’anno scorso il Verona aveva Iturbe che poteva fare la differenza, quest’anno anche loro hanno diverse incognite. Il Cagliari davanti ha più certezze, dietro ha più punti di domanda rispetto agli scaligeri.

Martino Melis quando giocava nell'Hellas Verona

Martino Melis quando giocava nell’Hellas Verona

La vittoria schiacciante di Milano: fuoco di paglia o digestione degli schemi zemaniani completata? Qualche giocatore in particolare ti ha impressionato?

Sicuramente Cossu è stato l’uomo decisivo, pur non segnando ha prodotto occasioni, creato spazi e provocato l’espulsione di Nagatomo. Bisogna stare attenti, la partita contro l’Inter potrebbe anche illudere e fare un brutto scherzo. Non bisogna dimenticare che l’Inter lascia tre giocatori in avanti, e il Cagliari attaccava contro un terzetto difensivo non certo irreprensibile. Le squadre di Zeman sono poco costanti, passano dei momenti positivi e altri disastrosi. Se questo è quello giusto, il Cagliari può vincere contro chiunque. Nel calcio i risultati comandano sempre e indirizzano i giudizi, abbiamo visto come quello ottenuto a Milano abbia cambiato lo scenario in positivo.

Con l’arrivo di Zeman, Cossu sembra essere rinato. Che giocatore ricordi nell’esperienza veronese? Per la sua fioritura è stato fondamentale l’ambiente o il cambio di ruolo?

L’ho visto migliorato ulteriormente dal punto di vista fisico. Può fare benissimo sia l’esterno d’attacco sia il trequartista centrale classico, dove gli ho visto fare cose eccezionali. Zeman è stato bravo a convincerlo e motivarlo, un pochino mi stupisce vederlo sulla fascia con qualità ed energie come in queste settimane. Se dovessi dire dove lo vedo meglio, dico in posizione centrale con libertà di svariare e inventare. Però con Zeman il trequartista non esiste e allora Andrea può benissimo giocare un po’ come à la Totti nell’ultima Roma del boemo.

A Verona arrivò anche un altro sardo in quegli anni: Andrea Pisanu, uno dei talenti più puri del calcio isolano. La fortuna non è stata dalla sua parte.

E’ stato molto sfortunato, ed era ancora più giovane di Cossu quando giocavamo insieme a Verona. Nel calcio, ai massimi livelli, servono delle caratteristiche che si sommino al talento. Pisanu aveva qualità eccelse, si è infortunato spesso, e quando poteva rilanciarsi (penso a Bologna e soprattutto Parma) è incappato in momenti davvero sfortunati. Nel calcio ci sono tante variabili a determinare il destino dei calciatori, lo stesso Cossu era arrivato ad un punto morto a Verona ed è risorto nel 2008 in un Cagliari che sembrava sprofondare.

Andasti via giovanissimo dalla Sardegna e da allora, professionalmente, non ci hai più fatto ritorno se non per allenare. Cosa ti spinse a lasciare l’isola a 16 anni?

Prima di mandarmi a Olbia, mio padre parlò con il Cagliari che era ancora di proprietà degli Orrù, ma i rossoblù non si erano disposti ad accollarsi le spese per farmi vivere a Cagliari (Melis è di Pula ndr) e allora avrei dovuto viaggiare quotidianamente. L’Olbia dimostrò maggiore interesse per la mia crescita, valorizzandomi (esordio in Serie C2 a 16 anni ndr) e cedendomi poi a una delle migliori società dell’epoca per la maturazione dei ragazzi, ovvero l’Empoli. Quando giocavo in Toscana ricordo che Moggi presenziava spesso alle partite, poi mi ruppi il tendine d’Achille e dovetti ripartire dal Chievo che preparava il salto in Serie A arrivato nel 2001.

Non c’è mai stata la possibilità di approdare al Cagliari nella tua carriera?

No, e mi dispiace. Soprattutto quando militavo nell’Hellas e conquistai la Serie A, pensavo che da un momento all’altro Cellino si sarebbe fatto vivo. Invece non c’è mai stato nulla. Quando ho affrontato il Cagliari l’ho sempre fatto con un coinvolgimento particolare (gol in Chievo-Cagliari 2-1 del 1997/1998 ndr), essendone tifoso.

Ottima tecnica e doti notevoli, eppure qualche passaggio a vuoto nella tua carriera non ti ha permesso di spiccare il volo come avresti meritato. Cambieresti qualcosa tornando indietro?

Il rimpianto più grande è quello di non essere mai arrivato ad avere una chance con il Parma che primeggiava in Italia e in Europa. Dopo la promozione con il Verona venni acquistato dai gialloblù, che nella rosa della prima squadra volevano solo nazionali, ma l’infortunio al crociato, il secondo dopo quello di Chievo, portò il Parma a non riscattarmi. A posteriori, passando al Parma, avrei vissuto il momento nero della storia ducale, ma negli anni successivi sotto l’Arena non è che sia andata meglio (ride ndr)”.

Fabio Frongia

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