Calcio, ma non solo. Il racconto degli eventi pallonari è spesso legato, e influenzato, da molteplici situazioni collaterali che, se analizzate, spingono a vedere i fatti sotto luce diversa. Lo sa bene Vittorio Sanna, uno degli ambasciatori del Cagliari e della Sardegna nella sua attività di giornalista che non si è mai limitata alla cronaca o al commento sportivo. Così, la voce delle partite rossoblù ha accettato l’invito di SardegnaSport.com, per parlare di Cagliari, del suo stadio e i suoi giovani, ma anche dei problemi che per ora hanno messo a tacere le sue radiocronache e del mestiere di giornalista in generale. Tanta carne al fuoco, cotta a puntino da uno dei colleghi più amati dal pubblico sardo.
Partiamo dal tema caldo, emerso mercoledì 21 agosto con il tuo annuncio: per ora, niente radiocronache su Radiolina, dopo che anche la gara di Coppa Italia era stata priva di racconto e immagini.
Le trattative sono in corso, e non sono facili perché ovviamente tutte le parti devono perseguire i propri obiettivi. Mi fa piacere che, nei giorni successivi alle prime difficoltà, uno dei primi ad essersi preoccupato del mantenimento della radiocronaca e, nello specifico, che fossi io a continuare a farle, sia stato il presidente Massimo Cellino. So che ha parlato con i suoi collaboratori, facendo presente la situazione e invitando a cercare soluzioni alternative. Non credo che ci sia una intenzione di far mancare il servizio al pubblico e ai tifosi da parte del Cagliari Calcio, ma si tratta di trovare un punto di incontro.
E’ un problema meramente economico? Sei ottimista?
Osservo e aspetto, è anche un problema economico, ovviamente. Di sicuro c’è che i tempi sono stretti, per Cagliari-Atalanta la vedo difficile, perché mancano pochi giorni alla partita e le trasferte vanno organizzate. Biglietti, attrezzature e turni di lavoro sono cose che non si fanno dall’oggi al domani.
Parliamo di stadio. Che idea ti sei fatto circa il clima di concordia che ha preceduto le vacanze e l’ultima mossa sul ritorno a Is Arenas?
Sinceramente mi è subito sembrato strano il clima di intesa che era emerso nei giorni scorsi. Mi meravigliava il fatto che si fossero trovate improvvisamente le soluzioni per uno stadio che secondo me ha bisogno di un intervento molto più incisivo di quanto paventato. Mi sorprende meno il ritorno a Is Arenas, dove le condizioni per costruire uno stadio agibile sono più facili. Io sono convinto che Is Arenas possa essere lo stadio del Cagliari, ma può essere solo provvisorio e temporaneo. Non credo che una società come il Cagliari possa avere Is Arenas come riferimento e stadio del futuro. Serve un impianto di altro tipo, come dimensione, non solo dal punto di vista della capienza ma anche come qualità e quantità di servizi offerti.
Non temi i possibili ostacoli che emergerebbero sulla strada verso Is Arenas, cose già viste nei mesi scorsi?
La paura esiste esiste sempre. Il mio ragionamento è del tutto libero da condizionamenti di altro tipo, come giudizi sull’operato della magistratura, sviluppi delle inchieste e problemi burocratici. Nel momento in cui valuto le due strutture, i due stadi dove fare calcio e assistere ad uno spettacolo, dico Is Arenas. E’ chiaro che quello che è successo su Is Arenas, uno degli stadi migliori nel panorama attuale del calcio italiano, preoccupa tutti. Le paure di rivivere l’ultimo anno esistono eccome. Se le cose non verranno fatte al meglio, eliminando ogni rischio preventivabile, ci si dovrà aspettare il peggio. Però, oggettivamente, e lo dico da mesi, se dovessi indicare lo stadio direi che Is Arenas è più facile da costruire rispetto a Sant’Elia.
E con la città di Cagliari come la mettiamo?
Intavolare e proseguire il dialogo con il Comune di Cagliari è fondamentale. E’ giusto che la società Cagliari Calcio pensi al Sant’Elia come stadio rossoblù del futuro, stabile e atto a fare un salto di qualità annunciato da tempo.
Quello relativo al Cagliari e alla gestione del vivaio è un tema affrontato spesso. Vedi un atteggiamento “auto-razzista” da parte del popolo sardo, nel momento in cui bastona il corregionale al primo errore e perdona lo straniero concedendogli l’appello reiterato?
Il problema nostro, come sardi, è essere i primi denigratori del nostro vicino di casa. Preferiamo che sia uno straniero ad essere migliore di noi anziché il vicino. Questa competizione non dovrebbe esistere, ognuno ha delle peculiarità e deve essere valorizzato per le sue capacità e anche per la sua diversità, l’invidia è molto dannosa.
E per quanto riguarda la società rossoblù?
C’è sicuramente un problema societario relativo alla gestione dei suoi giovani, tutti sardi. La questione si è acuita nel momento in cui c’è stato l’avvicendamento tra Nicola Salerno e Francesco Marroccu. Questi, forse anche perché ex giocatore sardo che ha avuto a che fare con molte promesse rimaste tali, aveva a cuore le giovanili e fungeva da collante tra la prima squadra e i ragazzi. Credo che Marroccu completasse anche il Cellino dirigente, imprenditore, che alla fine ha sempre deciso di percorrere strade diverse da quelle della valorizzazione dei giovani isolani. Secondo me sbagliando, perché, come ho avuto modo di dire in occasione dell’amichevole con la rappresentativa gallurese, molti ragazzi erano nettamente più validi dei rincalzi della prima squadra con cui si stavano confrontando.
Chi è, a tuo avviso, il giocatore che si può eleggere come grande rimpianto del Cagliari e i suoi tifosi?
Si è sempre parlato poco di Emiliano Melis, al quale sono state letteralmente tagliate le gambe, mentre Davide Carrus fece anche una scelta perché allora (era il 2003 quando lasciò il rossoblù ndr) aveva mercato, contratto e procuratore. Emiliano, invece, dopo i primi gol in B vede sparire la fiducia in nome di scelte discutibili, fu mandato nell’anonimato di una Serie C1 dove non c’erano le collaborazioni attuali e si fermò.
Cosa rispondi a chi, a proposito delle promesse mancate, dice “non hanno dimostrato di essere all’altezza”?
E’ falso. Perché quando un ragazzo smette di allenarsi ad alti livelli, non solo di giocare partite ufficiali, regredisce e smette di crescere. Normale che non riesca più ad esprimersi e finisca nelle serie inferiori. Quindi dire che non si sono dimostrati in grado di stare ad alti livelli non sussiste, le potenzialità c’erano e non sono state sviluppate.
Simone Aresti, in un’intervista a SardegnaSport (leggi qui) ha detto che un sardo alla prima esperienza fuori si sente come se giocasse all’estero. Cosa ne pensi?
E’ verissimo, indipendentemente dai passaporti, noi sardi andiamo sempre all’estero quando usciamo dall’Isola. Io definisco “estero” tutto quello che non fa parte di una omogeneità di carattere culturale e storica. L’Italia è eterogenea, ha tanti “staterelli” uniti 152 anni fa, che però storicamente e culturalmente sono a sé stanti. L’Italia resta una confederazione di stati, ciascuno con propria identità. La Sardegna in particolare, non solo dal punto di vista geografico, è una realtà diversa. Quello che ha detto Simone è assolutamente comprensibile, soprattutto quando lasci la tua terra da giovane, per giocare o lavorare.
Con Videolina Sport ti occupi degli sport cosiddetti minori, del calcio dilettantistico, regionale e giovanile. Non trovi che ci siano grossi deficit nella capacità comunicativa di chi fa sport, quando invece questa servirebbe per farsi conoscere?
Ci sono grossi problemi da questo punto di vista. Anche io, nel mio piccolo, cerco di farlo notare. Videolina Sport nasce con l’intento di far capire alle società che dalla cura della propria immagine si possono trarre benefici anche economici. A livello locale non si è capito che se si investe su ufficio stampa, produzione di immagini delle partite, cartellonistica, si ottiene la possibilità di fare promozione, di avvicinare la gente, di mettere in luce prodotti artigianali e delle piccole imprese. Una società che si vende bene diventa veicolo importante per tutto un indotto. Diffondere nel mondo, via web, un evento sportivo permette di ripagare spese e guadagnare.
Quanto è difficile fare il giornalista in Sardegna e occuparsi di una squadra come il Cagliari, spesso tenuta lontana da telecamere, microfoni e taccuini?
E’ difficile perché ti mette nelle condizioni di dover fare il giornalista senza la minima agevolazione. Molte volte devi parlare di un evento o di una notizia senza avere visto nulla, con il compito di offrire un buon servizio senza fare torti o inimicarti qualcuno. Faccio un esempio concreto: stasera l’allenamento è a porte chiuse, notizie non ce ne saranno, se non poche righe di comunicato, ma domani al telegiornale si dovrà parlare di Cagliari e della preparazione del match domenicale. Ovviamente viene fuori la capacità professionale, ma trovo fuori luogo che una società che vive di immagine (vedi sopra) tenga spesso all’oscuro tifosi e addetti ai lavori. La situazione è questa e andiamo avanti…
C’è un atteggiamento masochista del Cagliari in tutto ciò?
Nel momento in cui esiste la manna dei diritti televisivi collettivi, che per effetto del bacino d’utenza ti porta 36-40 milioni di euro ogni anno, non sei incentivato a rinforzare il rapporto con i tuoi tifosi. Ma questo finirà, perché quando Sky non potrà più garantire certe cifre bisognerà adoperarsi per fare profitto con altri mezzi. Le piccole squadre dovranno trovare altre fonti di finanziamento, dovranno essere capaci di vendere il prodotto. Molti stanno creando canali web, gli uffici stampa producono immagini delle partite e degli allenamenti. I tifosi ora garantiscono entrate solo indirette, presto potrebbero diventare fonte di guadagno diretta e sarà fondamentale raggiungerli per sopravvivere.
Chiudiamo con un messaggio rivolto a chi da grande vorrebbe fare il giornalista. Molte grandi firme, chiamate ad esprimersi in merito, consigliano di abbandonare il sogno.
Io invece ribadisco come non si debba mai smettere di sognare. Nella vita ci sono i momenti in cui bisogna pensare al mangiare, ma mai si deve abbandonare un’aspirazione, perché quando arriva l’occasione si deve essere pronti. Se non sognassimo saremmo semplici anelli di una catena alimentare, è vero che adesso è molto difficile vivere facendo il giornalista, ma non è detto che sarà sempre così. I tempi potrebbero cambiare, la passione e l’emozione devono, penso che passione voglia dire qualità e solo così si possono eliminare i malanni che da un po’ attanagliano la professione giornalistica.
Fabio Frongia
* Poche ore dopo la realizzazione dell’intervista con Vittorio Sanna, intorno alle 17 del 22 agosto 2013, è arrivata la firma della convenzione sullo stadio Sant’Elia tra Cagliari Calcio e Comune di Cagliari, mettendo definitivamente la parola fine alle voci di un ritorno ad Is Arenas*