
Armando Pantanelli
Un caffè nel centro di Modena per celebrare l’incontro con Armando Pantanelli, la risata vigorosa e guascona a fare da colonna sonora dei ricordi di una carriera piena di soddisfazioni, aneddoti e divertimento. Al punto che, quando gli chiedi se preferisca Cagliari o Catania, a livello di vivibilità, ti risponde senza falsa retorica: “Ho amato e amo entrambe, Catania è molto più grande e ci son più posti dove uscire la sera. A Cagliari quando metti il naso fuori di casa un minuto dopo lo sa tutta la città”.
L’Emilia dove è cresciuto, “mio padre lavorava qui nel settore della ceramica, questa è casa mia anche se trovate scritto che sono nato a Torino”, e dove c’è stata la falsa partenza da allenatore. “Al Formigine, in Serie D, sono durato 3 partite perché ho litigato con un dirigente”. Chissà che la Sardegna non porti maggior fortuna: “Se mi chiamassero, con un progetto serio, non direi mai di no. Ho voglia di lavorare”.
Zola, Esposito, Suazo, ma anche i “cavalli pazzi” Abeijon e Langella, due allenatori della vecchia scuola come Ventura e Reja. Il Cagliari che ritrovò la Serie A dieci anni fa aveva nel gruppo l’indiscutibile forza. “Eravamo una grandissima formazione, e lo abbiamo dimostrato nei fatti, arrivando secondi dietro al Palermo solo per la differenza reti. Ho solo ricordi belli di quei compagni di squadra, del tifo rossoblù. Un gruppo granitico, ben assortito dal punto di vista tecnico e cementato da uscite di gruppo memorabili. Potrei raccontarne un milione”.
Facciamolo, allora. “Come dimenticare le serate del giovedì, quando si usciva tutti insieme per cena e poi noi gruppetto di irriducibili facevamo le ore piccole nei locali del centro. O il martedì grasso in cui io vestito da Zorro e Rocco Sabato da Fred Flinstones andammo in discoteca allo Spazio Newton sperando di non essere riconosciuti per evitare guai. Appena scesi dalla macchina esplose l’urlo “Grande Panta”. Tolsi la maschera ed entrai dentro”.
Mauro Esposito il compagno “che avrebbe potuto fare di più, dopo Cagliari non è riuscito a esplodere”, Emiliano Melis il sardo più forte. “Forse è stata anche una scelta quella di non lasciare la Sardegna, tra tutti i ragazzi era il più talentuoso”. Antonio Langella “di gran lunga il più pazzo, ma Abe non era da meno“, Gianfranco Zola “l’esempio in tutto e per tutto, uno dei più forti con cui abbia mai giocato, assieme a Fernando Menegazzo, fenomeno vero con poca testa, anche se ha giocato in Champions League”.

Pantanelli con Festa nelle figurine Panini
Eppure, dopo la festa promozione, l’addio. “Non trovammo l’accordo con Cellino, il Catania premeva perché aveva in mente di salire in A. A Cagliari stavo benissimo, sarei rimasto senza problemi”. Il caso volle che due anni dopo arrivasse l’esordio in A proprio a Cagliari, con vittoria etnea per 1-0, a firma Giorgio Corona: “Feci delle belle parate su Esposito e Suazo, me ne dissero di tutti i colori. Ma ebbi l’ennesima dimostrazione d’affetto del pubblico sardo”. Gente abituata a vedere Pantanelli scorrazzare tra Poetto e vie cittadine: “Mi piace uscire, divertirmi in tranquillità, andavamo spesso a pranzare al mare. Ora mi hanno detto che non ci sono più i baretti nelle fermate dell’autobus, peccato. Sono venuto l’anno scorso, ho incontrato Daniele Conti all’Emerson, è stato bello”
Il capitano di mille battaglie, allora, era un rincalzo. “Non avrei mai immaginato potesse fare quindici stagioni in Serie A, diventare un simbolo e una bandiera. Si vedeva che era un giocatore di talento, adesso è la grande forza dei rossoblù. A Cagliari c’è sempre stato un gruppo solido, si è sempre cambiato pochissimo, perché i vari Lopez, Suazo, Esposito, Abeijon sono rimasti a lungo ed erano presenti negli anni bui della B e poi quando si è vinto il campionato. Anche adesso c’è uno zoccolo duro e per questo il Cagliari è squadra di livello superiore a molte pretendenti per la salvezza”.
Tornando alla fantastica stagione della promozione, è bene ricordare la partenza stentata e la cura Reja decisiva per svoltare. “Ventura è di gran lunga il miglior allenatore che abbia mai avuto. Qualcuno aveva dei problemi con lui e non c’era grande rapporto. Non fu mandato via dalla squadra, decide sempre Cellino, e sapete come è fatto. Secondo me saremmo saliti lo stesso, però Reja, che tatticamente è meno bravo di Ventura, fu bravissimo a farci sentire tutti partecipi e creare un clima idilliaco. Il venerdì (la B giocava di sabato ndr) andavamo tutti insieme al cinema di pomeriggio, per esempio, divenne un appuntamento fisso”.

Col Catania il debutto in A
Episodi chiave di quella stagione? “Ce ne furono tanti, penso al rigore che parai a Protti a Livorno al 96′, evitando il sorpasso, oppure il 5-1 all’Atalanta e il 3-2 sul Palermo. Una volta preso il ritmo diventammo inarrestabili”. Quello del “Picchi” è stato il momento della carriera? “Sicuramente di quella stagione, mi piace ricordare anche i miracoli in un Catania-Genoa dove molti genoani dissero che se il Catania avesse avuto Buffon avrebbe perso 3-0. Ma anche le parate in Catania-Chievo, ultima giornata di campionato e praticamente uno spareggio-salvezza sul neutro di Bologna”.
Undici anni fa l’avvento del Sant’Elia “matrioska”, un anno dopo il Cagliari dovette andare a Tempio per metà campionato. “Almeno noi, a differenza del recente passato, avevamo uno stadio fisso, in Sardegna. Tempio era calorosissima, il “Manconi” sempre pieno, anche se il viaggio era lunghissimo. Il Sant’Elia era stato rimesso a posto in modo posticcio, però a me è sempre piaciuto tanto”.
Niente a che vedere con quello conosciuto all’arrivo nell’Isola. Stagione 2001-2002, stadio deserto, il “mago” Antonio Sala in ritiro e il rischio retrocessione in C1. “Sala era un personaggio particolare, molto sicuro di sé, credeva di spaccare il mondo e venne esonerato proprio a Modena. A Cagliari mi portò Luciano Serra, che poi andò via quasi subito. Con Sonetti ci tirammo su, non avevamo mai avuto paura di retrocedere, sinceramente, sapevamo di essere una buona squadra, anche se può sempre succedere di tutto quando ti ritrovi in quella situazione”. In quella squadra c’era anche Fabrizio Cammarata, l’acquisto più costoso della storia del Cagliari. “Gli mancava un po’ di carattere. Un bravissimo ragazzo, sempre disponibile, ha sofferto quando non riusciva a fare gol, come tutte le punte”.

Pantanelli con il mitico cappellino
Pantanelli vuol dire anche l’inconfondibile stile con il cappellino sempre in testa sulla folta chioma. Ormai nessuno lo usa più. “E’ partito tutto in un Pavia-Olbia, ultima di campionato con un sole pazzesco in faccia. Vincemmo e feci una bella partita, da allora dissi che non lo avrei mai tolto. Solo in un’occasione l’ho lasciato in spogliatoio, la partita della promozione in A contro la Fiorentina, quando ci tingemmo i capelli di rossoblù”. E la notte? “Nessun problema, avevo affinato la tecnica e usavo la parte alta della testa per le uscite dall’area”.
Sei stagioni in Sardegna (due a Olbia, tre a Cagliari, una tra Tavolara e Arzachena). “Debuttai a Olbia con Vallongo, il secondo di Sonetti, poi nella stagione successiva arrivò Franco Colomba. A Olbia mi portò Selleri, ds dell’Olbia, che era in contatto con la Reggiana dove avevo fatto le giovanili. Nel 2010, Massimo Mariani, con cui giocai ad Olbia, mi chiese di fargli da secondo, alla fine giocai sempre perché c’era bisogno. Ho smesso per un problema all’anca, tra i giovani che c’erano in squadra ad Arzachena ricordo bene Spano (classe 1994, protagonista quest’anno in Serie D) e Mastinu“.
Olbia (35 presenze, 21 gol subiti), Carpi e poi l’Inter. “Lo considero un anno di vacanza, io non volevo andarci, volevo giocare perché fino ad allora avevo militato solo in C2 e C1. Durante un’amichevole a Carpi, Hodgson vide che giocavo bene coi piedi e mi volle a tutti i costi. Dovevo giocarmi il posto di secondo con Mazzantini, che però aveva 4 anni di B alle spalle e infatti venne prima di me nelle gerarchie”. Esperienza deludente, o forse no, come la chiusura ai piedi dell’Etna. “Lo Monaco mi disse che non voleva confermarmi, avevo ancora un anno di contratto e mi era impedito di allenarmi. Con Biso e Falsini andammo in causa per mobbing“.
Di tutt’altra fattura il rapporto con Cellino: “Io l’ho sempre ammirato, ha sempre fatto il bene del Cagliari, è uno dei pochi che guadagna col calcio e se fossi al suo posto mi comporterei allo stesso modo. I soldi sono suoi ed è giusto che decida, come e quando vuole. Alla fine ha sempre avuto ragione, anche quando decise di mandare via Suazo, la risposta sono state le sole 6 presenze con il Catania subito dopo”.

Antonio Sala nel giorno della presentazione a Cagliari

Diego Lopez
Momento raffica: il giocatore più forte contro cui hai giocato? “Kakà, imprendibile”. La gioia più grande? “Le due promozioni in piazze calde come Cagliari e Catania”. Segui ancora il Cagliari e le tue ex squadre? “Soprattutto l’Olbia, la domenica so sempre il risultato, sembra l’anno buono”. Lopez allenatore? “Ha sempre avuto un bel rapporto con Cellino, meritava il premio per come si è sempre comportato. Gli è andata bene, con una squadra già fatta e ottima, ma si è comportato bene”.
Pantanelli non è di quei ex che rilasciano tante interviste, che discettano di pronostici e si concedono troppo. Strano, per uno che dopo il ritiro è addirittura sbarcato in tv. “Eravamo proprio qua – dice indicando il tavolino affianco – io e un amico con tanto tempo libero. Ho preso il tablet e per gioco ho mandato la domanda per partecipare al casting de L’Eredità. In 20 giorni ho fatto casting e registrato la puntata. Sono stato eliminato perché ho sbagliato la risposta su chi fosse l’autore dell‘album “Ferro battuto”: era Battiato, pensavo fosse di Tiziano Ferro. Da Cagliari mi hanno scritto in tantissimi. La Sardegna è nel mio cuore, ho anche i quattro mori tatuati”.
Fabio Frongia e Matteo Sechi
IL SALUTO ALLA SARDEGNA E AI LETTORI DI SARDEGNASPORT.COM
UN ESTRATTO DELLA PUNTATA DE L’EREDITA’