Il tennis mondiale guarda a Cagliari. Affermazione certamente esagerata e fuori luogo, perché la finale di Fed Cup in programma al Tennis Club di Monte Urpinu ha perso valore a causa delle rinunce russe che scenderanno in campo contro l’Italia, e perché in contemporanea si gioca il “masterino” di Sofia, mentre l’attesa cresce per il Masters degli uomini. Inevitabile, allora, che l’intervista con Ubaldo Scanagatta scivoli presto su tanti altri argomenti che è doveroso affrontare con uno dei massimi esperti di questo sport. Per averlo praticato, organizzato e raccontato, sulla carta stampata e in tv (pioniere con gli altri grandi Rino Tommasi, Gianni Clerici e Roberto Lombardi), fino ad arrivare ad Ubitennis.com, il sito da lui diretto e ormai da anni leader per quanto concerne l’informazione a 360 gradi sul tennis. Ma il direttore è anche colui che ha spesso fatto le pulci ad Angelo Binaghi e soci. Con il suo tagliente accento fiorentino dice la sua su gestione economica, mediatica e tecnica del tennis italiano. Dal focus sui singoli, poi, la sentenza che esce è chiara: “L’ottimismo mettiamolo da parte…”.
Che significato possiamo dare a questo weekend cagliaritano?
Diciamo che non è certo colpa del tennis italiano se i russi non si presentano con la migliore formazione. Le ragazze fanno quello che devono fare, sono presenti e cercano di vincere per la quarta volta in otto anni. L’Italia è una squadra omogenea e forte, il miglior doppio del mondo, una giocatrice nelle prime dieci come la Errani e un’altra a ridosso della top ten come la Vinci.
Perché un movimento come quello russo, che produce tante giocatrici di primissimo ordine, snobba la Fed Cup?
Ho letto la denuncia della Pavlyuchenkova contro la scarsa riconoscenza per aver giocato in passato nonostante qualche acciacco e rinunciando a tornei importanti. In Russia c’è stato un momento d’oro in cui Boris Eltsin, che amava il tennis, era molto amico di Yevgeny Kafelnikov e aveva come maestro quel Tarpischev che adesso è il capitano di Fed Cup, oltre a ricoprire la carica di presidente della federazione ed aver fatto anche il Ministro dello Sport. Adesso evidentemente sono stati chiusi i rubinetti per il tennis, le ragazze che sono professioniste preferiscono andare a prendere soldi e punti in giro per il circuito.
Per le italiane invece è diverso.
Alle azzurre la Fed Cup sta a cuore perché dalla partecipazione hanno tratto prestigio ma anche soldi. Qualche anno fa fu regalata a tutte una Peugeot, molte di loro hanno avuto introiti decisivi per dare sicurezza e affrontare la vita, non solo tennistica, con maggiore tranquillità. Sicuramente in questi otto anni c’è stata molta enfasi post-vittoria, parlare di “campionesse del mondo” dopo avere vinto ben poche partite di livello mondiale è quantomeno esagerato.
A Cagliari non ci sarà Francesca Schiavone, che si è giustificata con una lettera e con la quale ha spesso dibattuto nelle varie conferenze stampa.
Francamente la Schiavone non è stata chiarissima. Avrebbe dovuto dire perché non ha voluto giocare, a 33 anni ci sta centellinare gli impegni e tutti avrebbero capito. In Italia c’è molta incoerenza sull’applicazione di quell’articolo 18 che obbligherebbe giocatori e giocatrici a rispondere alle convocazioni. Il condizionale è d’obbligo, perché la norma viene applicata con molta discrezionalità, all’italiana potremmo dire. Bolelli venne cacciato, Seppi trovò un compromesso con Barazzutti, altre volte si è arrivati allo scontro. In tutti gli altri paesi, se uno si sente di giocare va in nazionale, sennò, come fanno le Williams o le stesse russe, fanno altro perché sono delle professioniste.
12 anni di Federtennis guidata dal cagliaritano Angelo Binaghi. Gli screzi con giocatori e personaggi sgraditi non si contano, idem per gli allontanamenti di ex giocatori, tecnici o dirigenti. Perché?
Non ho mai mancato di esprimere la mia perplessità su questo. Il presidente viene eletto, spesso senza candidati all’opposizione e con regole che non mi convincono, alla fine decide lui e amen.
Tesseramenti e bilanci poco chiari, allenatori in fuga. Qual è la colpa più grave da imputare alla gestione Binaghi?
La politica dei tesseramenti mi lascia molto perplesso, non si possono tesserare i pensionati che giocano a burraco o briscola nei circoli per ottenere finanziamenti nonostante i campi siano vuoti con la gente che fa tutto fuorché giocare a tennis. Il Coni dovrebbe aprire gli occhi e controllare, ma non mi pare che lo abbia fatto soprattutto dopo avere proclamato la necessità di avere massima trasparenza da parte di tutte le federazioni.
Comitato Olimpico che è passato nelle mani di Giovanni Malagò. Come sono i rapporti con Binaghi e, soprattutto, si può sperare in un miglioramento delle cose?
Difficile dirlo, perché noi non vediamo dietro le quinte e possiamo solo farci un’idea o supporre. La FIT adesso gestisce gli Internazionali d’Italia che sono una grossa vetrina e qualche utile lo producono. Malagò è eletto dalle federazioni, quindi anche da Binaghi, e con lui dovrà avere a che fare, volente o nolente. Il Coni dovrebbe svolgere un compito di vigilanza su bilanci e scatole cinesi, penso che abbia tante gatte da pelare e non sia facile perché tutte le federazioni tendono a sfuggire ad ogni tipo di controllo. C’erano molte aspettative su Malagò, affinché cambiasse tendenza rispetto al predecessore Petrucci, ma per ora oltre a tante premiazioni, tagli di nastro e presenza mediatica non si è visto granché di concreto.
Si è parlato spesso di “sardocentrismo” ai vertici della FIT. Eppure nell’isola non è mai emerso nessun giocatore e di tennis si parla pochissimo, se non quando arriva la nazionale.
Non direi che la Sardegna sia più debole delle altre, in termini tecnici, anche se non ha mai avuto un prima categoria. Le varie regioni sono rappresentate nel consiglio federale, anche se alla fine il presidente (come tutti quelli che comandano) decide da solo, un po’ come avviene in politica. Quello che non mi piace è la continua litigiosità espressa e il ricorso agli avvocati a ogni pie’ sospinto. C‘è sempre il circolo amico, il giocatore che viene elogiato perché fa quello che vogliono dall’alto e quello osteggiato perché disobbedisce. Ci vorrebbe un po’ più di fair play, ma temo che la situazione non cambierà a breve.
C’è qualche personaggio, o centro di potere, che possa mettere in discussione la leadership di Binaghi?
Innanzitutto non bisogna dimenticare che quando fu eletto, nel 2001, Binaghi dopo 20 anni di presidenza Galgani disse che nessuno avrebbe ricoperto la carica per più di due mandati (otto anni ndr). E’ lì da 12 e arriverà a 16 anni di presidenza, penso che non se ne voglia andare molto presto, per usare un eufemismo.
Quante responsabilità ha la stampa nella trattazione di ciò che riguarda il tennis extra-campo?
Ne ha tante così come ne ha in altri settori. Diciamo la verità: a molti non importa nulla della politica sportiva, e allora quando si scrive un articolo come quelli che ho fatto io ci si crea tanti nemici. C’è chi approfitta dello scarso interesse per la cosa pubblica per agire in modo non limpido. I media mainstream difficilmente si occupano dei bilanci FIT, o dei tesseramenti che non corrispondono ai praticanti effettivi.
Sono le cosiddette “hard news”, impegnative da scrivere e da leggere, e alla fine si propende per un’informazione leggera che fa contenti tutti.
Io sono stato oggetto di due azioni legali, a testimonianza di come i vantaggi siano ben pochi. Ognuno fa quel che crede, io penso che sia giusto approfondire e poi scrivere ciò che si pensa, anche a costo di andare contro qualche interesse altolocato. Non è detto che quello che sostengo sia verità assoluta, ma sicuramente è frutto di approfondimento. E’ chiaro che quando un gruppo editoriale intrattiene dei rapporti economici con la FIT non potrà che parlare benissimo del suo operato. Se Ubitennis.com organizzasse la Fed Cup non potrebbe scrivere, come ha fatto, che il livello è modesto e che negli ultimi anni molte federazioni non hanno dato importanza a questa manifestazione.
Parliamo di Supertennis Tv: l’idea di far vedere il tennis in chiaro non sarebbe male, ma…
Sono sempre stato favorevole ad una maggiore fruizione del tennis, a patto che non costasse troppo. Mi spiego: si era detto che in tre anni sarebbe arrivato il pareggio di bilancio, ho sempre dubitato ma ebbi fiducia, anche perché un milione di euro all’anno per la promozione del tennis mi pare una spesa accettabile. Se però il milione si moltiplica per due o per quattro, mi domando se non sia meglio investire sul settore tecnico per provare a far emergere qualche giocatore che diventi numero tre del mondo e faccia da traino a tutto il movimento. Invece si risparmia al centesimo sugli allenatori e su quei fattori che permetterebbero ai giocatori di migliorare, spendendo milioni senza colpo ferire su una tv che non avrà mai grande audience e quindi non attirerà mai la pubblicità. Senza dimenticare che nel momento in cui dovesse esserci un campione o un grande evento i network di punta glielo strapperebbero all’istante.
Da dove si dovrebbe partire per costruire in casa qualche top-10?
Bisogna investire, non risparmiare 50 mila euro l’anno sugli allenatori bensì scegliere quelli che davvero hanno qualcosa in più. Le ragazze vincono perché sono andate tutte via dall’Italia o si sono legate ad allenatori stranieri: la Pennetta in Spagna, la Errani prima da Bollettieri e poi in Spagna, anni fa Raffaella Reggi negli Stati Uniti, la stessa Schiavone ha avuto tecnici stranieri. Se uno oggi dovesse dire quali siano i migliori tecnici italiani non saprebbe dove girarsi, perché i vari Piatti, Castellani, Pistolesi hanno sempre allenato stranieri e preferito non avere a che fare con la federazione. Ci sarà un motivo…
Parliamo dei singoli, possiamo aspettarci altri exploit da Sara Errani o il meglio l’abbiamo già visto?
Secondo me lei merita solo elogi per la personalità che ha dimostrato di avere sin da quando, a 12 anni, andò all’accademia di Bollettieri. Andò a vivere da sola, senza i genitori, poi ha fatto le scelte giuste nella carriera, affidandosi a Pablo Lozano. La Errani si allena sempre al massimo, per esempio in questi giorni a Cagliari ha svolto un lavoro certosino, a differenza di qualche sua collega che mi dicono lavorare non al top, con un tourbillon di allenatori intorno al campo. Alla Errani possiamo dire solo “bravissima”, poi dove potrà arrivare è difficile dirlo. Ha il problema del servizio, come lo hanno avuto la Reggi e Volandri e in generale tutti i nostri giocatori. In Italia il servizio buono non ce l’ha nessuno, mi chiedo come mai nessuno se ne accorga e provi a porre rimedio. Ci sono alcuni personaggi che hanno fatto degli studi sul servizio, mandiamo i ragazzi da loro e non risparmiamo su queste cose.
Un giudizio sulle ultra-trentenni Schiavone, Pennetta e Vinci.
La Schiavone purtroppo ha 33 anni e il meglio l’ha già dato, non la vedo in grado di tornare tra le prime 15 del mondo. Il suo gioco è spettacolare, a tratti bellissimo, è nella storia del tennis italiano e quindi tanto di cappello perché ha creduto in sé stessa più di quanto facessero coloro che la circondavano. Discorso simile per la Pennetta, dalla quale non possiamo aspettarci progressi. La pugliese, a differenza della Schiavone, è una che fa giocare bene le avversarie, col suo gioco piatto che non dà fastidio. Sul cemento, giocando d’incontro, ha ottenuto risultati molto importanti e a tratti sorprendenti. Nessuno si aspettava, quattro anni fa, che la Vinci potesse arrivare così in alto. Lei stessa pensava di essere solo una grande doppista, si è giovata del fatto di giocare in Fed Cup. Ha dei limiti, perché non ha peso, è leggera e secondo me ha già fatto miracoli. Tutte e quattro, e ci metto anche la Errani, hanno fatto miracoli e meritano solo applausi.
Dietro di loro c’è Camila Giorgi. Possiamo scorgere i tratti della campionessa nell’”argentina” di Macerata?
Non mi convince il rapporto tecnico con il padre, anche se molte, dalla Pierce alla Seles, hanno avuto il genitore al loro fianco in avvio di carriera. Poi però bisogna affiancare al padre un tecnico che dia un po’ di strategia e tattica, perché non basta tirare forte. Lei ha colpi e talento, compie degli exploit ma poi perde continuità, quando trova una giocatrice che le fa giocare un punto in più spesso finisce per perdere scambi e partite.
Insomma, poco spazio per l’ottimismo.
Direi di no, anche se c’è una differenza sostanziale tra tennis femminile e maschile. Tra le donne una quindicenne che adesso è sconosciuta nel giro di due anni può arrivare nelle primissime posizioni, tra i maschi ci vogliono 4-5 anni, cioè Quinzi che ha vinto Wimbledon fra gli Junior a 17 anni fino a 21-22 difficilmente sarà uno dei primi 30 del mondo, anche se glielo auguro.
Tra i ragazzi emergenti, chi è il più intrigante in prospettiva?
Mi piace molto Donati, che secondo me è più talentuoso di Quinzi. Quest’ultimo ha fatto un buon programma, è stato sostenuto dalla famiglia e quindi ha potuto stare lontano dall’Italia, che non è mai male. Sono ottimista perché anagraficamente è avanti rispetto a tanti altri, di solito chi è tra i primi al mondo a 17 anni difficilmente si perde del tutto, poi non è detto che diventi top-5. Se pensiamo che tra i primi 20 del mondo sono arrivati giocatori senza grande talento come Seppi e Furlan, un Caratti è arrivato al 26° posto, possiamo avere fiducia in Quinzi, che ha più fisico, altezza e servizio degli altri tre.
Riguardo al presente: Fognini guarirà mai dalla sua follia o vivrà sempre sulle montagne russe?
Fognini è il Balotelli della racchetta. Ha un tennis esplosivo sulla terra rossa, dove può giocarsela alla pari con tutti salvo i primi 4-5 del mondo, ma in qualsiasi momento può decidere di spaccare la racchetta o prendere a male parole il giudice di sedia. La difficoltà è nella testa, non certo nel braccio. Fino a due anni fa, quando aveva 24 anni, giocava ancora come uno junior, adesso ne ha 26 e aspettiamo che maturi. Sicuramente per un bel po’ sarà il nostro primo giocatore in classifica, perché Seppi ha dei limiti e dietro c’è il nulla. In attesa di Quinzi e Donati, teniamoci stretto Fognini.
Quanto c’è di vero e di giusto nel considerare i giocatori italiani viziati e poco inclini al sacrificio?
Un bel po’. E’ stato sempre così, negli anni Settanta Bertolucci e Panatta erano gli unici giocatori di alto livello che ad agosto venivano da voi in Sardegna anziché giocare i tornei. Perdemmo la Coppa Davis del 1974 a Johannesburg proprio per scarsa serietà, e l’avremmo vinta perché in finale ci aspettava l’India. Guardando ad oggi, dico che Seppi è uno serio però ha dei limiti tecnici e oltre questi non può andare.
Abbiamo accennato al ruolo dei media e quindi rilancio con una domanda che riguarda il giornalismo in generale. Con Ubitennis.com cercate sempre di seguire eventi e tornei con inviati sul posto. C’è ancora margine per evitare di fare giornalismo solo davanti al computer e alla tv?
Purtroppo i costi per andare in trasferta sono aumentati spaventosamente, mentre si sono ridotti quelli necessari a stare dietro una tastiera e portare avanti una testata da lì. Bisogna dire che andare in loco ha senso se lo si fa bene, altrimenti non ti dà vantaggi. Se sei bravo cerchi, scopri e parli con le persone ottenendo risultati interessanti e di qualità, altrimenti non ha senso chiudersi in sala stampa e fare lo stesso che si potrebbe fare rimanendo a casa. Personalmente, ho sempre preferito andare sul posto anche a costo di dormire per terra, trovare alloggi di fortuna e arrangiarmi con voli low cost, perché è così che si impara a fare giornalismo. I giornali non possono permettersi più di pagare viaggi e alberghi, io stesso non sempre riesco a coprire le spese ai ragazzi che vogliono andare a seguire Australian Open e Us Open, però mi prodigo per trovare loro sistemazioni economiche. A gennaio in Australia saremo in quattro e divideremo l’appartamento, quando andai a seguire i primi Wimbledon ero ospite di Gianni Clerici.
Ubaldo Scanagatta strenuo difensore del mestiere di giornalista, quello vero.
Cerco di insegnare qualcosa. Negli anni, da quando ho intrapreso l’avventura con Ubitennis ho corretto titoli, bozze e articoli a centinaia di ragazzi, molti dei quali hanno poi trovato lavoro, qualcuno anche in federazione o alla stessa Supertennis, come Giovanni Di Natale e Giorgio Spalluto, per citarne due dei tanti. Provo a dare il mio contributo, penso che sia necessario fare il giornalista in un certo modo, esporre le cose in maniera problematica, sforzandosi di promuovere la dialettica e il dibattito, avere contatti con i giocatori e i personaggi dell’ambiente e dire quello che si pensa. Molte volte mi scontro con chi dice “Scanagatta ce l’ha col tennis italiano”, rispondo che se Fognini vincesse Wimbledon sarei il primo a festeggiare, ma se si comporta male non posso che criticarlo. Sono innamorato del mio mestiere, mi piace dare il mio contributo e lavorare con ragazzi appassionati e motivati. Se qualcuno avesse voglia di cimentarsi, imparare e arricchire il proprio curriculum io sono sempre alla ricerca di collaboratori”.
Fabio Frongia (twitter: @fabiofrongia1)
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