Sant’Elia, l’ennesima pressione che mina il dialogo. Perché incendiare la strada a un passo dal traguardo?

L’esterno della Curva Sud del Sant’Elia (foto: sardegnasport.com)
Mese nuovo, polemiche vecchie, verrebbe da dire. Lo stadio Sant’Elia, le sue tribune, il calcestruzzo e le carte bollate sono sempre più avvelenate, in un andamento che oscilla tra buonismo e collera esplosa a mezzo stampa. Stavolta, come quasi sempre, a sbottare è il Cagliari Calcio, nelle due componenti più rilevanti: il presidente e il capitano. La società rossoblù ha deciso di sbottare una volta di più, con lo sfogo mattutino di Cellino e quello crepuscolare di Daniele Conti.
Nel mirino di viale la Playa c’è ancora la presunta lentezza dell’iter che dovrebbe finalmente riportare la squadra nel capoluogo isolano, dopo un peregrinare che dura dal primo aprile 2012, e che ha visto Is Arenas come interregno sardo e maledetto. Stavolta, però, il patron rossoblù ha deciso di mettere tanta mostarda sull’annosa querelle sportivo-politico-amministrativa, e le prossime ore diranno se ci potranno essere sviluppi clamorosi o se tutto rientrerà nello sbraitare che abbiamo imparato a commentare.
Il Cagliari è davvero pronto ad andare a Livorno? La squadra, comprensibilmente stanca di giocare in trasferta e staccarsi settimanalmente dalle famiglie, realmente pensa allo sciopero? Sono le domande che i tifosi si fanno, contestualmente agli improperi verso chiunque capiti a tiro, colpevole di non dire “ok, il Cagliari domani gioca al Sant’Elia”.
Se i rossoblù dovessero approdare in Toscana cambierebbe poco, se non il ritrovarsi un po’ meno lontani da casa, in un ambiente che nella recente sfida del “Picchi” si è rivelato amico e solidale. Non muterebbe la situazione, con l’esilio che continuerebbe a tempo indeterminato, in attesa delle agognate fumate bianche, e l’archivio arricchito dell’ennesimo coniglio celliniano.

Daniele Conti, capitano del Cagliari
Quantomeno anacronistica appare l’uscita del centrocampista romano, sicuramente concordata con il boss di cui sopra e facente parte di quella tattica del muro contro muro sposata sin dalla fuga dal Sant’Elia. Doveroso, allora, chiedersi che senso abbia un comportamento del genere da parte della società, giunti ad ottobre e quando il traguardo del ritorno a Cagliari è visibile, raggiungibile come non mai.
Quello che sembra difficile da capire, o attuare, è la necessità di avere pazienza. Firmate convenzioni (Comune di Cagliari e Cagliari Calcio), delibere (C.O.N.I.), indette e vinte gare pubbliche per i lavori, a cosa serve cercare nuove scorciatoie che già un anno fa avevano portato a perdersi? Qualche giorno fa parlavamo di ansia di avere dichiarazioni e notizie, come a voler evitare il silenzio che nella mente di molti significherebbe immobilismo delle parti. Cellino, oggi, è come se avesse voluto soddisfare tutti, che poi appagati non sono, perché martedì sera sono andati a letto inviperiti come accade loro da mesi.
L’impazienza è giustificata, la voglia di riavere la squadra in città è pari a quella di un bimbo il 24 dicembre. Ma, siccome nessuno ha un’età inferiore a quella in cui credere a Babbo Natale è lecito, forse sarebbe meglio proseguire nel clima di dialogo faticosamente costruito. La milionesima pressione, quella odierna, non fa certamente bene. E pensiamo a cosa succederà quando ci sarà da attendere (e poi accogliere) il verdetto, per nulla scontato, delle commissioni di vigilanza. Ad un primo sopralluogo hanno preferito mettersi le mani nei capelli e ritirarsi a riflettere. Dando e chiedendo quel tempo che nessuno sembra avere, mai.
Fabio Frongia (twitter: @fabiofrongia1)