… Carmelo Alfonso, una vita nello sport: “I calci nel sedere di Cellino, il pugilato da sogno e un giornalismo che non c’è più”
Di palloni calciati e rimbalzati ne ha visti tanti, così come di pugni dati e presi, in un contesto sportivo che nel corso dei decenni si è trasformato in jet set perdendo poesia e genuinità. Parlare con Carmelo Alfonso - una vita tra Gazzetta dello Sport, Unione Sarda e Rai, molto attivo anche ai vertici dell’USSI – vuol dire conoscere molteplici aneddoti e analizzare a tutto tondo quanto avveniva e quanto succede ora, facendo dei confronti. Dal pugilato, che “prima dell’avvento del Cagliari Calcio in Serie A era a tutti gli effetti lo sport della Sardegna” alle gesta dei rossoblù scudettati, fino all’era Cellino. Che ha cambiato molto, sotto molti aspetti.
E adesso, qual è lo stato di salute dello sport in Sardegna? “Non vedo il deserto dietro la Dinamo Sassari, anche se sicuramente non viviamo un momento d’oro, a cominciare dalla transizione che vive il Cagliari. Il basket, nel nord Sardegna, sta vivendo un’esperienza sulla falsariga del Brill Cagliari, che era foraggiato da Moratti e soprattutto Rovelli. La Dinamo ora può contare sul Banco di Sardegna, che non sparirà certo domani, e su un’altra fortuna…”. Sarebbe? “Non ha la concorrenza di un club di calcio ai massimi livelli. Fino a quando la Torres non andrà in Serie A, sul parquet di Piazzale Segni possono stare tranquilli”. Eppure c’è chi accusa la Dinamo di “mangiarsi” tutto ciò che sta intorno: “Ci sono comunque belle realtà, dalla pallamano che è un fiore all’occhiello della città dei Candelieri alla Promogest, che ha toccato picchi inediti per la nostra pallanuoto. Poi, ovvio, son venuti meno i soldi e senza quelli non si va da nessuna parte. Dove fatichiamo davvero è nel basket cagliaritano: mancano dirigenti e investitori che possano far sognare, al femminile sono lontani i fasti del grande Cus e della Virtus, delle Lenzu e delle Sannia. Credo che a mancare siano anche i buoni istruttori, sono quelli che convincono e mantengono i più piccoli a fare sport, senza perdersi”.
Melis, Zuddas, Rollo, Burruni, Manca, Udella, Puddu, Scano. Nomi ormai dimenticati che hanno reso celebri i ring isolani. “La ragione principale del crollo del nostro pugilato è, come sempre, prima di tutto economica”. Sembra un cane che si morde la coda, non ci sono più soldi perché non c’è appeal, i pugili mancano anche perché non si guadagna granché. “Trent’anni fa gli sponsor abbondavano e anche la Rai metteva sul piatto dei bei soldini per trasmettere gli incontri. Ora non ci sono i pugili veri, i pugni fanno male. Un tempo i ragazzi delle periferie andavano nelle palestre perché queste potevano essere una strada per guadagnare e tenersi lontano dai guai. Mi ricordo una Cagliari animata dalle gare tra quartieri, con i pugili di Sant’Elia, Is Mirrionis, Pirri, Quartu Sant’Elena a darsi battaglia. C’era davvero una bella atmosfera, tra tifo e gossip”.
Chi era il personaggio? “Impossibile non citare Piero Rollo, uno che doveva fuggire dalle case quando rientravano i mariti delle spasimanti che era andato a ‘trovare’. Per lui radio e tv si muovevano eccome, l’organizzatore Picciau spacciò l’incontro con Rafferty come semifinale mondiale e l’Amsicora sembrava il Madison Square Garden. Un altro che suscitava l’interesse femminile era Mario Altana, fisico eccezionale, mai diventato campione italiano forse perché più attento a non farsi rovinare il bell’aspetto dai cazzotti. Ma ricordiamo anche Duilio Loi contro Fortunato Manca, sempre all’Amsicora, di fronte a 15 mila spettatori”.
“Adesso il professionismo non c’è più. Si combatte poco e allenarsi senza farlo è svilente per un professionista, infatti molti smettono. Andrea Sarritzu ha recentemente perso il titolo europeo dimostrando poco mordente rispetto all’avversario, Tore Erittu è tornato dopo 2 anni, ma non è che abbia mai lasciato spazio a troppe speranze. Manuel Cappai? Non passerà mai professionista, lo ha detto lui, vuole lo stipendio della Polizia e rimarrà dilettante. Impossibile criticarne tale scelta. I coreani, i giapponesi, però, sono gente tosta e non sarà facile togliersi soddisfazioni”.
Passiamo al calcio: a vedere la gestione del Cagliari nell’ultimo ventennio, c’è da essere contenti di esserne usciti. “Dall’inizio dell’era Cellino in poi si sono succeduti diversi addetti stampa. Da Pappalardo, che veniva dall’esperienza ai Mondiali, conosceva le lingue ed era un grande professionista, a Marco Pinna. Entrambi mandati via in malo modo per non aver accettato i modi rudi del presidente. E poi altri cinque o sei che via via si sono dimostrati meno scomodi. Sicuramente quando arrivò Cellino le cose per noi giornalisti cambiarono, ma penso che sia dovere di chi fa il nostro mestiere mantenere la schiena dritta. Non bisogna scodinzolare per ottenere un’intervista o un permesso per avvicinare i giocatori. Solo chi si faceva prendere a calci nel sedere (anche letteralmente!) poteva avere certi privilegi. Personalmente ho sempre pensato che se non mi fosse stato concesso qualcosa avrei scritto magari una cartella in meno, ma con dignità, che non deve mai venire meno”.
“Il rapporto con Cellino non è mai stato corretto. Ricordo che in via Tola, in occasione della presentazione di Tabarez, Cellino non voleva far entrare Giorgio Ariu, reo di aver scritto qualcosa di sgradito. Nessuno di noi entrò e alla fine Cellino fu costretto ad ammettere il collega. Lo stesso avvenne qualche anno dopo al Sant’Elia, quando non voleva quelli del Giornale di Sardegna. Ma ricordo anche l’ostracismo verso Antonio Capitta, che pure aveva la tessera CONI per entrare in tutti gli impianti. Insomma, non ci siamo fatti mancare niente. Con i vari Corrias, Marras, Arrica, Delogu invece, anni addietro, c’era grande cordialità e si poteva comunicare. L’unico episodio di chiusura ci fu quando Silvio Piola schiaffeggiò in via Roma, a Cagliari, il giornalista Franco Brotzu. Piola venne esonerato ma nacque un po’ di ruggine tra giornalisti e società, un caso più unico che raro”.
Giornalisti in Sardegna. Una vita non facilissima, anche a causa del repentino naufragio delle realtà nate a latere di quelle consolidate. “Credo che molte non avessero grandi speranze. Queste erano riposte in E-Polis, in Grauso, che poi non ebbe la forza o la voglia di tenere duro. Il mercato della pubblicità è però in crisi da tempo, le stesse Unione Sarda, Videolina e La Nuova Sardegna faticano, anche se vivranno ancora a lungo. Ho sperato tanto che sopravvivesse Sardegna Uno, perché pluralità vuol dire più occasioni per i giovani e movimento sul mercato”. E il pluralismo dell’informazione? “Lasciamo stare. Inutile parlarne, quando ormai il giornalismo è fatto di agenzie e copia-incolla. Dov’è il pluralismo se tutti hanno un’unica fonte, istituzionale? Sono discorsi basati sul nulla”.
Torniamo al Cagliari Calcio. Nel diktat del “lascia o non lascia?” che riguarda Cellino e in quello che sembra, comunque vada, un momento epocale, sembra esserci qualcuno che vuole rifarsi una verginità. “Non so se Cellino venderà, lo ha detto talmente tante volte… Sicuramente vuole tanti soldi, e solo in cambio di quelli, veri, passerà il testimone. Altrettanto senza dubbio dico che dentro la società qualcuno si è spazientito, basti pensare alle esternazioni del capitano. Sul comportamento dei giornalisti, penso che in questi anni molti si siano completamente appiattiti, ora in qualche modo devono ricalibrarsi, ma finché Cellino è al suo posto è dura. Non ho visto nessuno, per esempio, chiedere del perché è stato messo in disparte Cossu, degli utilizzi a singhiozzo di Murru e Sau. Qualcuno è andato a chiedere al medico sociale perché sono tutti infortunati? E poi Adàn, il portiere preso e sbolognato dopo due partite: era scarso? Chi l’ha portato? Quanto l’hanno pagato?”.
Certo, vedere altri dibattiti in salsa rossoblù come ai tempi di Scopigno risulta complicato. “Il più celebre fu quello con il collega Piero Caravano, che si spazientì di fronte alla sbruffonaggine del tecnico e gli disse ‘non si permetta mai più di fare queste uscite’. Scopigno, in radio ai microfoni di Maurizio Costanzo, aveva risposto con un ‘sì, un vivaio di cozze’, alle domande sui giovani rossoblù, prima di fare spallucce alla domanda di Caravano sulla squalifica di Boninsegna: ‘qualcuno giocherà, magari Mattrel’. Che però era portiere”.
Proprio quel Carletto con cui Carmelo Alfonso aveva avuto un rapporto particolare. “Era un nazionale, aveva bisogno di allenamenti supplementari. Così spesso andavamo a Monte Urpinu a lavorare dal punto di vista atletico. Figuriamoci, oggi, un Astori che va a correre al Poetto con un giovane insegnante di educazione fisica come ero io. Altri tempi, irripetibili le interviste durante la doccia o i massaggi, l’assenza di sale stampa fa a cazzotti con il regime odierno, i musoni di giocatori che camminano a un metro e mezzo da terra. Ricordo Suazo, sul finire della mia carriera, quasi disturbato dalle richieste di autografi e foto ad Assemini, peraltro un ambiente off-limits in generale e ben poco amico dei tifosi”.
Chiudiamo con alcuni nomi degli uomini dello sport più interessanti da intervistare. Alfonso fu il primo giornalista sardo ad intercettare Gigi Riva dallo sbarco in Sardegna. “Mi riuscì subito simpatico. Timido per l’età, e riservato, per educazione, capiì subito che sarebbe diventato un grande”. Ma non solo Rombo di Tuono. “Ricciotti Greatti e Pierluigi Cera (mezzala e mediano, poi libero, dello scudetto ndr) erano speciali, intelligentissimi e mai banali, si parlava di tutto e con piacere. Ma anche Matteoli e Francescoli, oltre che giocatori di classe, erano di cultura superiore e dei veri signori con cui relazionarsi a bordo campo”.
Fabio Frongia