Ciclismo – Parla Alberto Loddo: ” Giovani sardi abbandonati a se stessi: quell’incontro con Fabio Aru…”
Gli appassionati di ciclismo certamente non hanno dimenticato le sue volate contro le migliori ruote veloci del mondo, ma chi a questo sport si è avvicinato sull’onda dei successi di Fabio Aru forse non conosce Alberto Loddo. Cagliaritano, classe ’79 è stato tra i più grandi protagonisti delle tappe per velocisti negli anni che vanno dal 2002 al 2010 con le maglie della Lampre, Saunier Duval, Tinkoff e Androni Giocattoli: sono tante le vittorie che può annoverare nel suo palmares tra cui la classifica generale del Tour of Qatar 2003 (3 tappe conquistate nel Paese arabo), ben 6 tappe al Giro della Malesia, 2 frazioni al Tour de San Luis (corsa argentina che fa da prologo alla stagione ciclistica internazionale) e quella vittoria nella sua Cagliari al Giro di Sardegna del 2010. Abbiamo fatto due chiacchiere con lui, partendo dai suoi esordi fino al suo ritiro, parlando inevitabilmente del fenomeno di Villacidro e della (preoccupante) situazione ciclistica isolana.
Alberto, come ti sei scoperto velocista?
E’ successo in pista a Quartu, lì ho scoperto di essere bravo in volata. Da giovanissimo facevo quasi sempre secondo, Cristian Melis riusciva a battermi sempre. Poi da esordiente e da allievo ho iniziato a vincere i campionati regionali, poi sono andato a fare una corsa nella zona di Milano vincendo la prima tappa e arrivando secondo nella successiva. Da lì la decisione di andare in Lombardia per crescere e cercare di diventare professionista: ci sono riuscito nel 2002 con la Lampre e subito ho vinto la mia prima corsa, una tappa al Giro del Qatar.
Qual è stata la tua soddisfazione più grande?
Senz’altro vincere a Cagliari! Partivamo da Sant’Antioco ed era l’ultima tappa del Giro di Sardegna del 2010 e sono riuscito a battere un campione come Alessandro Petacchi.
Quella è stata la penultima edizione della corsa, pensi tornerà mai il Giro di Sardegna?
Spero che le Istituzioni riportino in auge quella bellissima corsa a tappe.
Hai disputato quattro Giri d’Italia, che emozioni hai provato? Provi del rammarico a non averli terminati?
Al di fuori sembra una festa, ma nel gruppo c’è tanta adrenalina ed è un’emozione difficile da descrivere. Ogni tappa è diversa dall’altra. Nelle edizioni che ho corso non c’era la passerella tipica di Milano, quindi quasi tutti i velocisti, per non soffrire in montagna, tornavano a casa prima per fare e preparare altre corse. Magari averli finiti sarebbe stata una soddisfazione in più, ma è sempre andata così.
Nella carriera hai battuto velocisti come Boonen, Petacchi, Zabel chi è stato il più forte tra i tuoi colleghi?
Secondo me i più forti di sempre sono Mario Cipollini e Ivan Quaranta, almeno quelli con cui ho corso io. Attualmente non conosco gli attuali velocisti, ma mi piace molto Cavendish.
Poi un ritiro anticipato…
Non mi sono accordato per un nuovo contratto nel 2011 con una squadra americana, quindi fare quella vita di sacrificio per un compenso bassissimo non ne valeva la pena. Guadagnarsi la pagnotta correndo e sacrificando la famiglia non è facile, quindi la mia passione la sfogo solo la domenica nelle mie sgambate. Dopo quel mancato contratto ho preso la decisione di ritirarmi anticipatamente.
Ora di cosa si occupa Alberto Loddo?
Io ora ho un nuovo lavoro e non sono rimasto attivamente nel mondo del ciclismo. Passare 365 giorni all’anno in bicicletta è un sacrificio e, forse anche per il fatto di vivere in Sardegna, mi sono allontanato. Quella vita non mi manca più di tanto, ma mi manca l’emozione di stare in gruppo e l’adrenalina della volata.
Quando hai conosciuto Fabio Aru?
Ci siamo sentiti anche negli scorsi giorni e gli ho rinnovato i miei complimenti. L’ho conosciuto per caso. Era il 2008 o 2009, ero in Aeroporto mentre aspettavo il mio bagaglio, mi si avvicina un ragazzo e si presenta come un giovane ciclista.
Pensi che il ciclismo sardo possa rinascere visto l’entusiasmo della gente per lui?
Me lo auguro! Fabio può senz’altro aiutare a riportare il ciclismo in Sardegna, sarebbe grave se non ci si riuscisse. Ho letto un’intervista a Meloni presidente del CONI sardo: è un controsenso quello che dice. Non sono mai stato coinvolto in alcun tipo di iniziativa per aiutare i giovani ciclisti isolani: se qualcuno me l’avesse chiesto avrei risposto positivamente, allenando i ragazzi in pista e curando i giovani. Non ci si può limitare a salire sul carro dei vincitori, ma ci si deve muovere per riportare il ciclismo in Sardegna: ci sono gare per Allievi con appena 15 iscritti, ci sono più corse per amatori che agonistiche e questo è un enorme sbaglio che parte dall’alto. Bisognerebbe portare lo sport nelle scuole, tenere contatti con le promesse ogni giorno altrimenti il ciclismo è morto. Fabio è un’eccezione perché hanno creduto in lui ed è stato portato in Italia a crescere: è diventato quello che è diventato solo con le sue gambe senza aiuti da parte delle Istituzioni. La Regione Sardegna deve aiutare i giovani, sarebbe uno spreco: noi sardi siamo portati per questo sport e abbiamo una marcia in più, fisicamente e caratterialmente.
Matteo Porcu
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