Cagliari, Gustavo Aragolaza: “Ecco perché ho salutato Giulini e Beretta. Cellino? Se chiama, vado”
La delusione per la mancata conferma, assieme a Gianluca Festa e David Suazo, sulla panchina del Cagliari scivola lentamente sotto il solleone della Sardegna. Gustavo Aragolaza guarda avanti, con umiltà e modestia (come ama ribadire a più riprese) e senza sponsorizzarsi troppo, perché “non mi piace questa abitudine diffusa di chiamare, proporsi, chiedere”. Lui, del resto, arrivato dal Sudamerica nel pianeta Cagliari Calcio – passando per Miami – ha mosso i suoi passi silenziosi: i tifosi e gli addetti ai lavori nemmeno sapevano chi fosse, agli inizi, prima che l’ex portiere scalasse gerarchie e vedesse il suo nome sui giornali nell’ambito delle vicende di casa rossoblù.
“Adesso siamo a Calasetta - esordisce al telefono - Stiamo portando avanti un bel camp con tanti giovani e molti amici, assieme a Mondo Mameli, storico “uomo della porta” del Cagliari. Il futuro? Vediamo, per me gli anni nel Cagliari sono stati una grande occasione di crescita, dopo l’ultima esperienza con la Prima Squadra al fianco di Festa vorrei proseguire su quei livelli, per questo è finita l’avventura in rossoblù”.
Si dice che con Cellino e il Leeds ci sia qualcosa di maturo. E’ vero?
“Non mi risulta, non so niente di niente. La gente mi conosce, sa come lavoro, ha il mio numero e sa dove trovarmi. Non vado a cercare gli altri per lavorare”.
Con il Cagliari come si è lasciato?
“Giulini mi aveva proposto di rimanere. Ho parlato con lui, è sempre stato molto gentile e si era detto dispiaciuto per la mia scelta di andare via. Anche Mario Beretta avrebbe voluto che facessi parte del nuovo progetto di settore giovanile, ma nella vita bisogna prendere delle decisioni e la mia in questo momento è questa qui. Con il Cagliari non c’è niente che vada storto, qui a Calasetta sto lavorando tra gli altri anche con Francesco Atzei, che è il nuovo preparatore dei Giovanissimi”.
Partito in sordina, arrivato fino ai grandi. Il bilancio dell’avventura al Cagliari come si può definire?
“Ho imparato tanto, devo tutto al Cagliari. Sono diventato chi sono adesso grazie a questa meravigliosa realtà. Io ci ho messo il mio modo di essere, il mio lavoro. A Miami ero allenatore dei portieri, poi allenatore Prima Squadra, quindi responsabile del progetto. Una volta arrivato in Sardegna, lavoravo col settore giovanile, quindi mi hanno nominato responsabile della foresteria e, in mezzo a tanti ruoli ricoperti, ho visto passare molti ragazzi…”.
Quando calcava i campi di Argentina, Spagna, Stati Uniti e Cile, si vedeva già insegnante?
“Sono stato fortunato a fare il calciatore, a costruirmi con il lavoro e la dedizione quella carriera. Sicuramente ho imparato tanto, sono maturato tardi come spesso accade ai portieri. Un’altra fortuna è stato l’incontro con Cellino, che mi prese e mi diede fiducia sin da subito, affidandomi le chiavi del suo progetto americano. Con lui, anche Gianfranco Matteoli, quando arrivai nell’Isola, è stato fondamentale per me”.
Il sodalizio Matteoli-Festa-Aragolaza-Suazo sembrava pronto a muoversi in blocco dopo i saluti a Giulini. Deluso dalla scelta dell’honduregno, che rimane ad Asseminello?
“David è un amico, ha fatto la scelta di continuare con il Cagliari e non lo biasimo. Sta facendo il suo percorso, quest’anno allenerà i Giovanissimi Nazionali, sta conseguendo il patentino ‘UEFA A’. Nella vita non sempre si sta insieme, ci sono situazioni che cambiano e strade che si dividono. Va bene così. L’altro giorno parlavo con un amico cileno e mi chiedeva di tornare lì perché c’è lavoro. Ora voglio capire, voglio rimanere in Sardegna per riflettere e valutare”.
Certo, trovare un’altra Prima Squadra in Sardegna è dura…
“In Sardegna c’è solo il Cagliari Calcio, onestamente. Magari andrò a lavorare un paio di anni fuori e per poi tornare in Sardegna. Vivo giorno per giorno, l’esperienza me lo insegna, inutile programmare troppo a lunga distanza”.
Cellino e Giulini: quali differenze?
“Cellino mi ha inventato, si è fidato di me. Giulini non l’ho conosciuto così bene, ma sin dalla prima volta che l’ho visto si è mostrato molto pacato e disponibile. Peccato non poter continuare assieme, ma ora sento il bisogno di qualcosa di diverso da quelle che erano le idee della proprietà del Cagliari”.
E se chiamasse Cellino?
“Andrei al volo, sicuramente”.
Si dice che Giulini voglia decidere e valutare in prima persona sul tema portieri. Come funziona davvero?
“Non ho mai parlato con lui delle scelte sugli estremi difensori. E’ stato portiere, sicuramente ha cognizione del ruolo. Poi, per quanto riguarda i portieri in particolare, il tutto è molto aleatorio: Mondo Mameli bocciò Salvatore Sirigu e sappiamo tutti dove è arrivato; due anni fa andai a visionare Berisha (ora alla Lazio ndr) in Albania e non lo reputai idoneo per il Cagliari, mentre segnalai Roman Burki, classe 1990 appena preso dal Borussia Dortmund. I portieri maturano di solito tra i 25 e i 27 anni, io stesso riuscii a venire fuori intorno a quell’età dopo le magre vissute in Cile”.
Aragolaza ha portato al Cagliari anche la meteora Adan: cosa avevate visto, lei e Cellino, nell’ex Real Madrid?
“Credevo e credo che Adan possa avere un’ottima carriera davanti a lui. Per farla, però, ci vuole anche tanta testa, Adan ha qualità ed è un ragazzo in gamba, a volte però si trova l’amico o l’ambiente sbagliato e si rischia di vanificare tutte le potenzialità. Nella foresteria del Cagliari ho visto passare tanti ragazzi, alcuni dei quali non mi capacitavo di come non siano arrivati in Serie A: la spiegazione è un po’ nella fortuna e tanto nel lavoro e nella giusta mentalità, che non tutti hanno”.
Intanto a Cagliari è arrivato Storari. E’ quello che serviva?
“Penso proprio di sì, risolve tanti problemi a livello tecnico e di esperienza”.
Che ne sarà di Cragno e Colombi. Giusto mandare Werther Carboni a giocare?
“Non penso che Cragno e Colombi siano inadatti alla porta del Cagliari, devono crescere e hanno bisogno di fiducia. Werther è un po’ una mia scoperta, il mio sogno è vederlo in Serie A. E’ giustissimo che vada a giocare, a fare esperienza e mangiare un po’ di gol (ride ndr). Si dice che il portiere si fa dopo 100 gol subiti, Werther è cresciuto molto a livello di forza fisica e muscolatura, sono dalla sua parte e lo seguirò con attenzione”.
Fabio Frongia
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