“Socrates uno di noi”, a Cagliari il documentario sul brasiliano che guidava il popolo

socrates1_2076972cUn padre appassionato di filosofia antica. E quel nome estremo, profetico. Socrates. Nomen omen, un destino nel nome. Il mitico capitano del Brasile degli anni Ottanta, nient’altro che una leggenda. Il leader della democrazia corinthiana.

Un capopopolo tra calcio e politica. Una parabola affascinante che ha spinto il regista Mimmo Calopresti e lo scrittore e giornalista Marco Mathieu a realizzare “Socrates uno di noi”, documentario che gli autori hanno presentato a Cagliari ospiti della rassegna letteraria Marina Cafè Noir. Comune passione per le partite del Torino e voglia di raccontare “Uno che ci piace per tante cose”.

Il giornalista Nicola Muscas, introducendo la serata non a caso intitolata “Calciatori o Rivoluzionari” parla di “ racconto oltre il calcio, storia di passione e di libertà”, e di quale forza può avere e ha una narrazione di vita come quella del campione brasiliano. Socrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, semplicemente Socrates, era il capitano di una delle nazionali brasiliani più forti di sempre ma rimaste a secco di trofei: Falcao, Zico, Junior, Cerezo (tra gli altri) al fianco del pediatra prestato al pallone non bastarono infatti per vincere alcunché in maglia verde-oro.

Un instancabile pensatore alla ricerca della libertà. Sullo sfondo di una San Paolo euforica per la Confederation Cup, Mimmo Calopresti si muove tra strade e ricordi alla ricerca dello spirito di Socrates, per capire cosa è stato e cosa rappresenta oggi. Tifosi e amici raccontano un mito inscalfibile che non muore. Molti ragazzi indossano fieri la maglietta stampata con la faccia del calciatore rivoluzionario, marchio e sinonimo di democrazia.

Il calcio in Brasile è religione di stato, “la fabbrica diffusa che risolve i problemi.” Roba grossa con cui non si scherza. E Socrates lo sapeva bene. Sapeva di poter cambiare le cose, che poteva e doveva esporsi. “Simbolo di ribellione e libertà, era un’irregolare – spiega Calopresti – diceva cose non scontate , usava il calcio per raccontare altro.” Davanti alla porta guardava lontano, sempre al di là, esultando col pugno chiuso in cielo contro la dittatura. In Socrates – racconta Mathieu - “c’è questa idea di politica così affascinante. Ha persuaso che il calcio e fare sport fossero quanto di più elevato ci potesse essere.”

Calopresti e Mathieu sul palco di Cagliari

Calopresti e Mathieu sul palco di Cagliari

Nel Brasile della dittatura militare Socrates era calciatore e uomo libero in cerca di conoscenza, l’inventore della democrazia corinthiana, un modello possibile di democrazia partecipativa dal basso.
Socrates arriva al Corinthians nel 1978. La squadra, capace di riempire ogni settimana gli stadi coi suoi 70mila tifosi, ha un forte spirito identitario, la squadra del popolo. Retrocessa, cerca la strada giusta per tornare ai massimi livelli. In una riunione che dura un giorno e una notte i giocatori della squadra bianconera scelgono di rompere le regole del calcio e di autogestirsi. Decideranno d’ora in poi tutto in completa autonomia. L’allenatore, la formazione, se fare o non fare il ritiro, ogni cosa. Trasformeranno lo spogliatoio in laboratorio di idee, promotore di una nuova forma di democrazia possibile che va oltre il campo di gioco. La squadra vince il campionato e sfida la dittatura. Attraverso lo sport mostra al popolo oppresso come sia possibile trovare un modo alternativo di organizzare la vita. Crea la possibilità di difendere la propria esistenza, i propri sogni. Socrates è il leader della squadra, pronto a scendere in campo per fare gol e manifestare insieme ai brasiliani perché il governo conceda l’elezione diretta del presidente. Non è più solo un giocatore, un atleta, diventa come il Che, il Che Guevara del pallone “un esperimento unico e irripetibile nel mondo del calcio.”

E’ il campione che gioca con la testa, non solo coi piedi, come lui stesso racconta all’amico Josè Carlos Amaral Kfouri . Per Socrates il calcio era “ un lavoro di educazione del pubblico, per i giovani” lontano anni di luce dalla situazione odierna in cui gli sponsor blindano i giocatori impedendo loro di esprimersi. “Metteva il proprio talento in ogni gesto”, spiega, durante il documentario, il pubblicitario Washington Olivetto, l’inventore dello slogan “Democrazia Corinthiana”. Vincere o perdere, ma sempre con la democrazia.

Nel 1984, il campione brasiliano è già praticamente un ex giocatore quando arriva in Italia. Destinazione Firenze, colori viola scelti per l’arte, i tifosi e la possibilità di leggere Gramsci in lingua originale. Frequenta la Casa del popolo, si confronta con gli ultras della curva, ma un’irresistibile saudade ne fa un uomo malinconico e triste, cristallizzato in un’ immagine pubblica di giocatore e basta che gli va irrimediabilmente stretta, che non sente più sua.

Destinato a perdersi nel tunnel dell’alcolismo, tra fumi e stravizi, muore il 4 dicembre 2011. Un giorno magico, un appuntamento col destino. “Vorrei morire il giorno in cui il Corinthias vince il campionato”, e così è accaduto. Nel sacro giorno di festa 40 mila persone fecero il suo gesto: il pugno chiuso verso il cielo “come se stessero andando in guerra a rappresentare il loro generale il dottor Socrates”. Perché ognuno di noi può essere come l’uomo di Belém, esempio reale e possibile di lotta per il popolo, in mezzo al popolo.

Federica Ginesu

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