Meo Sacchetti l’elmetto l’ha indossato, e adesso invita il suo gruppo a imitarlo per non farsi sorprendere come accaduto nel 2013, quando Cantù passò a Sassari e spense in modo traumatico il sogno scudetto della Dinamo. A margine della conferenza di presentazione del progetto-concorso “Ti aspettiamo in Sardegna 2.0″, abbiamo parlato con il coach di Altamura – ma ormai sardo a tutti gli effetti, come ama ricordare con la proverbiale guasconeria – affrontando tanti temi tecnici e ad ampio respiro sulla chimica che la sua squadra deve trovare in ottica post-season.
La vittoria con le bollicine ai danni di Roma ha esaltato, ma non ha cancellato la paura. Partenze così negative potrebbero risultare fatali tra un mese.
“Il problema non è tecnico. E’ una questione di approccio mentale. Le partite di playoff bisogna giocarle con intensità elevata, è vero, ma anche con serenità. Il nostro modo di essere frizzanti, atletici e capaci di tutto, deve aumentare l’attitudine a giocare con vigore sui due lati del campo. Se riusciremo a fare questo con continuità, come dimostriamo di saper fare a sprazzi, potremo percorrere molta strada nei playoff. Altrimenti resteremo legati alle percentuali al tiro e all’emotività. Il discorso sui cali che abbiamo conosciuto quest’anno è molto semplice, credetemi”.
A molti, una volta in svantaggio contro Roma, è venuta in mente quella partenza in gara-7 contro Cantù.
“E’ logico che noi di quella partita ci ricordiamo la partenza (la Dinamo andò sotto di 17 punti e perse sulla sirena col ferro di Brian Sacchetti ndr). Alla fine dei conti siamo andati fuori per un tiro. La storia dipende sempre dal gol realizzato o mangiato, dal canestro portato a casa o dal ferro colpito. Il problema è non arrivare a giocarsi tutto così, questa è la cosa importante. Serve un atteggiamento diverso, che non vuol dire snaturarci o farci venire ansie e frenesia, però maggiore fisicità e presenza sul campo sono doverose”.
L’espressione “cali di tensione” è un ritornello che conoscete a memoria, così come noi giornalisti. Sono fisiologici, come ha talvolta detto Paolo Citrini nella sua rubrica su SardegnaSport.com, oppure si può e si deve lavorare per cancellarli?
“Bisogna assolutamente limare questi momenti negativi che complicano la vita e talvolta costano caro. Sicuramente è difficile avere intensità per 40′, però occorre migliorare”.
A quale Dinamo, guardando questa stagione ed esulando dalla parentesi dorata della Coppa Italia, deve ispirarsi la Dinamo per ambire al top?
“Nella tre giorni al Forum di Assago abbiamo fatto molto bene. In generale dico che c’è bisogno di più fisico, serve giocare più dentro l’area sporcandoci le mani. In Eurocup si è visto che patiamo la fisicità di avversari più strutturati e magari più esperti. Ecco, nei playoff, è risaputo, per primeggiare e spuntarla occorrerà andare maggiormente sotto canestro e fare a sportellate. Altrimenti resteremo la Dinamo bella, imprevedibile, da tutto o niente e difficilmente in grado di vincere un campionato”.
Impossibile non pensare a Benjamin Eze. Domenica è stato decisivo con quello sprazzo di qualità e gioco interno tanto raro in casa vostra. Come sta il nigeriano e quanto conta su di lui per raggiungere l’obiettivo di cui parlava?
“Ben non ha bisogno di acquisire fiducia, perché ha grande esperienza e non patisce sicuramente l’aspetto emotivo. Giocando meno necessita di consapevolezza nelle proprie capacità, deve capire che può fare tanto e può essere un fattore. E stato subito riconosciuto dai compagni come elemento in grado di aiutarli e i ragazzi gli stanno davvero vicino. Può solo migliorare”.
L’estate scorsa, mentre si discuteva di convivenze tra playmaker e campagna acquisti di primo piano, lei si era detto curioso di mettersi all’opera con un roster lungo. Una prima volta anche per lei. Dopo circa 9 mesi qual è il responso?
“Non sono preoccupato. è una questione di gestione, io non sono abituato a fare cambi con l’orologio, qualcuno capisce il suo ruolo altri no, o non ancora. Quando uno è abituato a giocare tanti minuti poi fa fatica ad accettare di sedersi in panchina per il bene della squadra. Ad un certo punto della stagione pensavamo di essere riusciti a far quadrare il cerchio, poi c’è stata una ricaduta. Adesso mancano 3 partite di playoff e se ci mettessimo a fare i conti davanti a tabellini, numeri, statistiche non andremmo lontano”.
E’ questo il suo timore principale, il prevalere dell’egoismo?
“Sinceramente io spero che quando arriveranno le partite dove bisogna vincere si mettano da parte questi discorsi. Si è parlato di Drake Diener mvp, tutto bene ma è inutile esserlo arrivando a metà classifica o senza competere. Non è il caso nostro, però il concetto è chiaro: dei riconoscimenti personali ce ne facciamo poco, o comunque li celebreremo a fine stagione, magari con qualche trofeo in bacheca o perlomeno con la soddisfazione di non aver lasciato nulla al caso”.
Playoff: un avversario vale l’altro?
“Inutile guardare agli avversari, alle classifiche e alle griglie. Non lo abbiamo mai fatto. Ultimamente ho visto Reggio Emilia crescere molto, migliorando il roster con Kaukenas e Gigli. In casa loro è difficile vincere e quindi li rispetto tanto. Siena continua a giocare bene, ha un DNA vincente trasmesso da successi e società, anche se il momento non certo dei più rosei”.
Chiudiamo con un focus su due singoli che ancora suggeriscono un giudizio interlocutorio. Omar Thomas era atteso come elemento di punta e meno da lavoro sporco, come si sta rivelando. Marques Green, invece, è felice o ambirebbe a giocare tanti palloni e minuti?
“Sicuramente Omar lo aspettiamo nelle partite importanti. Si sacrifica molto, ma quando conterà vincere e il pallone peserà dovrà prendersi responsabilità e speriamo che faccia uno scatto ulteriore. E’ un elemento di esperienza e carattere e deve dimostrarlo. Per quanto riguarda Marques parliamo di un playmaker che vuole essere protagonista. Deve bilanciare il suo gioco. Non vive per il canestro, ma ci son partite dove non lo guarda nemmeno. Io voglio un play che attacchi e tiri, lui ama giocare per i compagni ma talvolta latita nell’attacco in prima persona. Nella finale di Coppa Italia segnò 5 punti in un momento importante, però rischia spesso di non entrare in ritmo e quando ti capitano i palloni da tirare non puoi non farti trovare pronto. Non ce lo possiamo permettere”.
Ascolta l’intervista a Meo Sacchetti
Fabio Frongia