Sardara: il pubblico può esprimersi, la Dinamo non ha bisogno di teatro

Stefano Sardara, presidente della Dinamo Sassari

Stefano Sardara, presidente della Dinamo Sassari

Che Stefano Sardara sia uno poco avvezzo alle critiche non lo scopriamo certo oggi, all’indomani dell’ennesima uscita rumorosa a mezzo social. Che non apprezzi pareri discordanti dal suo, idem. Lo si è scritto, detto e ribadito, lo hanno sostenuto anche coloro (vedi Meo Sacchetti) che prima, durante e dopo di noi ci hanno avuto a che fare. Che la piazza sassarese, nella fattispecie quella inneggiante (o guardante) la Dinamo Sassari, sia ben poco matura è un altro dato di fatto: per intenderci, a sentire questa, in maglia biancoblù ci sarebbero ancora in organico i cugini Diener e capitan Vanuzzo, per dirne tre.

“Lascio la Dinamo a giugno”, è dichiarazione intempestiva e umorale, che denota nel presidente quella scarsa maturità che si imputa alla stessa platea pagante.  Una “bomba” pomeridiana, dopo una prova negativa della squadra, che vive un momento di transizione tecnica e apre diverse chiavi di lettura. In primis rischia (nessuno dei tifosi se lo augura) di apparire come un pretesto per cambi di scenario al momento non comparsi all’orizzonte: ridimensionamento economico? margine di crescita (economico e strutturale) del progetto Dinamo esaurito? Idee alternative al basket e/o investimenti infrastrutturali non percorribili? Sarà il tempo a dire se dopo il ciclo Sacchetti si sia chiuso anche il ciclo di Sardara, se con lo Scudetto e la tripletta di trofei nel 2015 si sia capito che di meglio e di più non si possa fare.

Lasciare – ammesso che questa sia davvero l’intenzione – non sarebbe una colpa per l’eccellente patron-manager che un lustro fa aveva impedito che il titolo sportivo andasse al di là del Tirreno, portando la Dinamo in vetta all’Italia e al gran ballo d’Europa. Farlo in maniera nebulosa, pestando i piedi e aizzando l’ambiente come già diverse volte negli ultimi anni sarebbe imperdonabile. La retorica del “se non ci fosse lui saremmo in mezzo a una strada” è quella che ha accompagnato tutti i grandi “padroni” della storia, e spiace vedere come tuttora ricompaia in casi simili. La gente ha bocca per parlare, per dire la sua opinione, per esprimere consensi e dissenso, sopratutto dopo aver pagato profumatamente un biglietto. Non esistono dogmi incriticabili, quantomeno nello sport, e allora la critica va accettata, in particolare se si studia da grande, o forse lo si è già diventati a suon di trofei, investimenti e azioni meritorie dentro e fuori dal campo. Se poi, crescendo, ci si accorge di non avere le spalle abbastanza larghe per gestire la pressione (minima) che una piccola piazza come Sassari può esercitare, allora meglio farsi da parte anziché sbraitare non si sa con quale fine.

Il “ricordiamoci da dove veniamo” è diventato ritornello stucchevole, quasi beffardo, tanto da venire tirato fuori dagli stessi sostenitori quando le cose vanno male. Agitare il ricordo dei periodi meno nobili (ma forse più genuini) per zittire ogni opposizione è prassi tutta di casa Dinamo, e non da oggi. Sardara ha ribadito di non aver digerito i fischi di metà gara, e che avrebbe accettato quelli post-sirena finale: distinzioni di poco conto, che non cambiano la sostanza. Pensare di poter decidere o arrabbiarsi a seconda della contestazione (legittima, alla luce della prestazione offerta da Devecchi e compagni) appare fuori contesto, in una Sassari e in una società che gode di consenso massimo, da parte della gente e dei media, qualcosa di raro e certamente auspicabile per ogni dirigente di società che voglia far passare i propri intendimenti.

La Dinamo Sassari ha giocato male, ha fallito il primo vero banco di prova della gestione Marco Calvani, il quale con grande onestà e signorilità aveva parlato così: “Mi scuso con i tifosi che fischiano, sarei stato il primo a farlo”. Lo diceva a caldo, qualche minuto prima delle parole di Sardara, pronte ad andare contro il nocchiero appena chiamato alle sue dipendenze. Siamo all’ABC delle dinamiche dello sport: una squadra fa male, perde e si prende i fischi, giusti, sbagliati o esagerati che siano; la società prende le sue decisioni e fa le sue dichiarazioni. Quelle del presidente della Dinamo Sassari sembrano non lasciare spazio ad un domani diverso da quanto detto, a meno che il numero uno di via Nenni non voglia ascendere (o discendere) al rango di nuovo Zamparini o nuovo Cellino (bravo ad usare certe minacce contro i contestatori) del mondo cestistico.

Roberto Rubiu

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