La gogna su Cellino e il cadere dal pero: prima scusarsi, poi sparare

Cellino e la sua “storica” esultanza
Se ne leggono e se ne sentono di tutti i colori. La poliedrica figura che mette in contatto Paesi e uomini di mezzo mondo e che ha il suo baricentro in una storica capitale del Mediterraneo, Cagliari, continua a riflettere al proprio interno prediche, simposi e siparietti che vertono tutti più o meno sulla stessa tematica: come liberarsi dell’orco cattivo? Ultimamente, capipopolo e plebei sembrano aver trovato chiave e sintonia: bisogna protestare, alzare la voce, perché ormai la misura è colma. Ma come? La misura è colma? Certo, è colma, ma com’è stato possibile non accorgersi che da tempo stava per traboccare? E’ questo il dato più sconcertante lasciato in eredità dalla sconveniente vicenda che sta travolgendo il Cagliari e i suoi tifosi, indignatisi irreversibilmente a causa di una battuta di dubbio gusto ma certamente interpretabile e che a dire il vero non lede proprio un bel niente, non certo meno di altre uscite infelici collezionate dal nostro orco nel corso degli anni.
Le proteste, sulla stampa, come allo stadio o per strada, quelle serie insomma, contro (o semplicemente per scuotere, perché in fondo gli avrebbe persino fatto bene) Cellino andavano inscenate tempo fa, quando era già lampante che la gestione del Cagliari mirava soprattutto ad assecondare l’interesse personale del Re Sole, abile mistificatore di realtà e accentratore di poteri e consensi. Francamente sembra inutile, oltre che scorretto, puntargli adesso il dito contro, così come è da ritenersi aleatorio fare distinzioni tra il Cellino bravo amministratore e perpetua garanzia della Serie A (ma si può mercanteggiare la sicurezza di vedere la squadra del cuore nella massima serie con la propria onestà?), dall’avida sanguisuga che avrebbe costruito (legittimamente, sia chiaro) parte della sua fortuna grazie al giocattolo Cagliari e alle spalle delle ambizioni dei tifosi. Ciò che disturba le peuple, sembra di capire, è il comportamento (a)morale tenuto nei confronti della sua creatura e dei suoi sostenitori. La condanna, in breve, è triplice: tradimento, fuga, abbandono. Il tutto contornato da plumbei silenzi. Gli stessi, però, che da sempre circondano le alte sfere rossoblù e che quindi non dovrebbero sorprendere o scandalizzare più di tanto.
Beh, ecco, ciò che sarebbe opportuno rimarcare a tal proposito è che Cellino non è cambiato improvvisamente in peggio negli ultimi mesi, il succedersi degli anni ha lasciato tracce indelebili e inequivocabili: colpi di testa, sprezzanti provocazioni alla legge (basta l’intercettazione della telefonata con Lotito in merito alla costruzione di Is Arenas?) e profonde contraddizioni e ipocrisie hanno da sempre caratterizzato la sua epopea ultraventennale. Il fatto è che sino a poco tempo fa si preferiva spalleggiarlo piuttosto acriticamente, anziché censurare quelle uscite e quei comportamenti deprecabili che al contrario, tollerati, ne hanno legittimato il suo tentativo di essere despota verso tutto e tutti. Chi per convinzione, chi per opportunità, chi per paura e chi per assuefazione. Gli stessi che ora, offesi e infuriati, vomitano incessantemente parole d’astio, di risentimento e di scherno nei confronti del fu martire per la causa rossoblù, provando magari a ricostruirsi, a suon di insulti e strali velenosi, un’improbabile verginità.
Eppure gli unici che potrebbero permettersi di sputare sul piatto il fastidioso “Io l’avevo detto” sono coloro che, in tempi non sospetti, stonarono fuori dall’affiatato coro degli yes-man e che per questo, in quanto minoranza da macello, hanno talvolta pagato. Chissà perché invece, tra chi adesso va imbracciando coraggiosamente il fucile, non si sentano mai pronunciare quelle sempre nobilissime (e infatti oramai démodées) parole che suonano più o meno così: “Riconosco di aver sbagliato”. Anche perché si è soliti dire che solo gli imbecilli non cambiano idea (cosa verissima), ma nell’aforisma di Mirabeau non si fa riferimento a maldestri salti della quaglia. Si diffonda dunque quest’agnizione intellettuale in ognuno di noi e se ne comprendano soprattutto, dello sbaglio, le ragioni, di modo che si abbiano successivamente basi da cui ripartire e solide certezze per evitare altre derive o l’automatica costruzione di verità fittizie che nascondano quelle reali. Nel calcio, come nella vita. Dopo sì, dopo se lo si ritiene opportuno venga pure dato libero sfogo a tutto il trambusto dell’auspicato “maggio cagliaritano”, con la viva speranza che, malgrado tutto, non ce ne sia bisogno.
Matteo Sechi