“Gek” Galanda a Sardegnasport.com: “A Sassari gara difficile, ma non partiamo battuti. Sardegna? La porto nel cuore”
La Sardegna la porta nel cuore fin da bambino, quando passava puntualmente le sue estati nelle spiagge sarde. E l’Isola gli ha regalato pure la prima delle 215 maglie azzurre indossate in carriera (quarto più presente nella storia dietro a Marzorati, Meneghin e Brunamonti), una sera di ottobre del 1995 al PalaSerradimigni, che allora era semplicemente il palasport di Piazzale Segni. Da allora ne ha fatta di strada Giacomo Galanda, o meglio “Gek”, così come è noto da quasi due decenni a tutti gli appassionati della palla a spicchi.
Fosse nato dieci anni più tardi, c’è da crederci, i campi dell’NBA li avrebbe calcati eccome. Tra i primi lunghi del panorama europeo ad avere una dimensione spiccatamente esterna, Galanda è un monumento del basket nazionale: dopo aver vinto 3 scudetti, 2 supercoppe e una Coppa Italia, e dopo aver conquistato un oro europeo e un argento olimpico con la maglia della nazionale, griffando tra l’altro la storica vittoria di Colonia contro gli Usa (28 punti a referto), il gigante friulano, a quasi 39 primavere, ha deciso di scendere in provincia, per dare una mano a Pistoia a conquistare e mantenere quella Serie A che mancava da 14 anni. Sardegnasport.com l’ha intervistato alla vigilia del match con la Dinamo Sassari.
Dopo due sconfitte nelle prime due partite il Banco di Sardegna non era certo l’avversario migliore che potesse capitarvi. Con quale spirito affronterete la trasferta di Sassari?
Effettivamente l’inizio non è stato semplice. Siamo una squadra che deve crescere e che deve cercare di costruire un po’ tutto, compresa la voglia di vincere. Non dobbiamo precluderci niente e andare a Sassari a fare una partita che mentalmente ci porti a pensare di poter vincere. Dobbiamo necessariamente crescere e imparare anche dalle sconfitte, cercando di trarre delle lezioni utili per migliorare. Abbiamo una squadra giovane e inesperta, ma che ha comunque tanta qualità. Dobbiamo rimanere calmi e cercare di accorciare il più possibile i tempi di maturazione.
Il fatto di giocare senza pressioni e coi nervi distesi potrà essere un’arma a vostro vantaggio?
Assolutamente sì. Dobbiamo però essere più disciplinati in campo. Il nostro problema non è tanto la competitività, perchè la squadra non è male, quanto la gestione del ritmo partita. La pressione sicuramente non ce l’abbiamo, però dobbiamo crearcela in qualche modo al fine di trovare una mentalià vincente.
Prima Cantù e poi Avellino in casa e ora Sassari: il calendario non è sicuramente stato un vostro alleato in questo inizio.
Purtroppo è così. Però il calendario non lo decidiamo noi e dobbiamo accettare quello che ci tocca. Sarebbe stato bello iniziare con una partita casalinga abbordabile per aumentare il livello di fiducia, ma non abbiamo avuto questa fortuna. Dobbiamo rimanere tranquilli e pensare a crescere senza scoraggiarci. Più che vincere subito dobbiamo imparare a crescere per gradi, accorciando i tempi senza abbatterci.
Dall’alto della tua esperienza, cosa pensi della crescita esponenziale di cui è stata protagonista la Dinamo negli ultimi anni?
Sassari è stata certamente un esempio per tutto il movimento. Qualche anno fa sembrava a un passo dal baratro, e invece la mentalità sarda del tener duro e del non mollare mai ha fatto sì che si sia creato un bellissimo ambiente. La dirigenza ha avuto la bravura di costruire un gruppo che ha piacere di giocare assieme, con un allenatore che ha fatto la scelta di sposare il progetto. Io credo molto nel lavoro a lungo termine, e Sassari ha fatto proprio questo: ha investito guardando più al domani che al presente e ora è diventata una delle migliori realtà in Italia.
Sassari ha le carte in regola per stare tra le big del campionato o è destinata a soffrire ancora un po’ di inesperienza?
Più che l’inesperienza credo che negli ultimi playoff la Dinamo abbia pagato la scarsa freschezza. Quest’anno è ancora presto per parlare, sicuramente le vicissitudini degli ultimi campionati hanno portato a vedere Siena spuntarla in un modo o nell’altro, però io sono convinto che gli equilibri cambieranno. Sassari avrà sicuramente delle chance perchè è una squadra bilanciata, costruita bene, con un progetto alle spalle. Non me la sento di fare pronostici, però posso dire che quella di coach Sacchetti è senz’altro una squadra preparata per fare strada. L’esperienza mi dice che di finali e di playoff devi giocarne tanti prima di poter vincere, la cosa importante è essere lì e farsi trovare pronti quando capita l’occasione giusta.
Dall’altra parte Sassari ritroverà un Vanuzzo a pieno servizio dopo l’infortunio alla mano. Pensi che sia per caratteristiche uno dei giocatori che più ti somigliano?
Siamo innanzitutto due giocatori della stessa generazione, anche se lui è leggermente più giovane di me. Manuel è un giocatore di grandissima esperienza, che è cresciuto con caratteristiche un po’ diverse dalle mie, perchè lui giocava spesso anche da ala piccola, mentre io sono sempre stato un “4-5″. Però la caratteristica di saper aprire il campo col tiro da fuori ci ha sempre accomunati. Sono contento che si sia rimesso perchè è una figura di riferimento per la sua squadra. Un giocatore di grande qualità che ha trovato finalmente lo spazio che merita.
Tornando a Pistoia, l’obiettivo stagionale è quello di portare a casa la salvezza o, visto il quintetto di valore, c’è spazio anche per candidarsi tra le possibili sorprese?
Io metterei la firma per portare a casa una salvezza, ma è anche vero che la nostra squadra non è quella che si è vista nelle prime due giornate. Dobbiamo maturare, e questo è importante. Certo, se si presentasse la possibilità di fare un passettino in più una volta ottenuta la salvezza non ci tireremmo certo indietro.
La Dinamo ha nel suo roster un giocatore molto interessante in prospettiva nazionale come Amedeo Tessitori. Che idea ti sei fatto del suo percorso di maturazione?
Amedeo è un ragazzo che ha sicuramente del talento, e che ha accanto dei campioni che possono insegnargli il mestiere. Però le problematiche vere riguardano lo spazio: Sassari non può dargliene tantissimo, e secondo me sarebbe positivo che i ragazzi come lui giocassero un po’ di più. Trovo molti talenti in giro che poi però non hanno la possibilità di fare l’esperienza giusta ed essere pronti per la nazionale.
Sempre a proposito di giovani, sei d’accordo con chi sostiene la filosofia del “chi è bravo gioca”, oppure pensi che i ragazzi italiani vadano tutelati anche a livello regolamentare?
Credo che tutti i giovani abbiano bisogno di fare esperienza. La stessa, per intenderci, che gli americani riescono a fare al college. I nostri ragazzi invece non hanno la possibilità di giocare campionati di livello. Potrebbero essere anche meglio di chi gli sta davanti, ma non hanno spazio. E’ vero che i gli elementi più talentuosi di solito vengono fuori a prescindere, però in Italia non c’è bisogno solamente di questo. Ci vogliono anche di giocatori di sistema e i difensori. Non possiamo pensare di creare un domani una nazionale fatta di soli fenomeni. Per creare una squadra c’è anche bisogno di ragazzi che siano in grado di coprire i tutti i ruoli e tutte le necessità che il campo richiede.
Come hai visto Travis Diener nel corso degli ultimi Europei?
L’ho visto innanzitutto molto ben inserito nel gruppo. Si è messo a disposizione mostrando grande umiltà, poi onestamente non è facile: giocare in campionato e giocare in nazionale sono due cose molto diverse. Nella manifestazioni come gli Europei l’intensità è altissima e i palloni pesano tutti, dal primo all’ultimo. E Travis, pur essendo un giocatore importante, ha pagato sicuramente questo scotto. Ci si aspettava forse qualcosina di più in attacco, però non credo fosse al massimo delle sue potenzialità, anche a causa dell’infortunio alla caviglia. Per il resto la pecca è stata la difesa, perchè quando c’era lui in campo coach Pianigiani era costretto a fare delle scelte particolari. In ogni caso il suo apporto l’ha dato e il gruppo è stato senza dubbio avvantaggiato dalla presenza di un giocatore del suo valore.
Parliamo di Gigi Datome: quarto italiano in NBA dopo Bargnani, Belinelli e Gallinari. E’ stata forse la vittoria della “tua” nazionale contro gli Usa nel preolimpico del 2004 ad iscrivere definitivamente l’Italia nella cartina geografica della lega americana?
Forse sì, anche se Esposito e Rusconi a dire il vero c’erano riusciti già prima. Quell’impresa offrì a noi per primi la possibilità di andare a giocare dall’altra parte dell’oceano, ma le offerte erano praticamente impossibili da accettare a quel punto della stagione, con le squadre già fatte e il campionato quasi al via. Detto questo, credo la globalizzazione abbia cambiato notevolmente il volto dell’NBA. Oggi arrivano talenti da tutto il mondo: Francia, Germania, Svezia e Lituania, senza contare i Paesi dell’ex Jugoslavia. Dopo il 2004 gli scout hanno indubbiamente iniziato a buttare un po’ più l’occhio verso l’Italia, e questo ha fatto sì che ragazzi come Datome avessero la possibilità di fare il grande salto. Gigi è stato protagonista di due anni stratosferici, e guai se non fosse andato in NBA. Io sono stato uno dei primi a dirgli che se non fosse andato gli avrei fatto le valigie pur di convincerlo, perchè effettivamente quella dell’approdo in America era una possibilità che andava assolutamente sfruttata. Sono molto contento per lui e credo che sicuramente avrà successo anche in NBA: ha davvero una mentalità da grande giocatore. Spero trovi l’ambiente giusto, perchè negli States ci sono delle dinamiche di marketing che sono a volte più importanti di quelle di gioco. Però credo che Detroit possa essere la piazza giusta per lui. Intanto io sto già aspettando che mi mandi la sua maglia dei Pistons!
La tua è stata una carriera a dir poco brillante. E’ rimasto magari un piccolo rammarico per non essere riuscito a fare il salto dall’altra parte dell’oceano?
Io ho fatto una scelta precisa nel corso della mia carriera, ovvero quella di non allontanarmi dall’Italia. Ho avuto anche delle offerte importanti da squdre europee, ma ho sempre rifiutato. In linea di massima sì, ogni tanto un il pensiero affiora, ma ho comunque giocato sempre in squadre vincenti, competitive sia in Italia che in Europa, e di questo non mi sono mai pentito. All’NBA ci ho pensato davvero dopo le Olimpiadi del 2004, ma era una situazione praticamente impossbile date le tempistiche: a fine agosto i contratti erano già belli che firmati e il campionato sarebbe partito poco dopo.
Hai un ricordo particolare legato alla Sardegna? Anche extra basket, magari.
Certamente. In Sardegna ho passato praticamente tutta la mia infanzia, e questo per me è impossibile da dimenticare. Mi sono goduto la Costa Smeralda prima dell’abuso edilizio e ho un ricordo della Sardegna più vera rispetto al paradiso per ricchi che è adesso in alcune zone. Sono innamorato dell’Isola, come potrei non esserlo. Per quanto riguarda il basket invece, il mio ricordo legato alla Sardegna riguarda l’esordio in nazionale: Ettore Messina mi chiamò per una gara di qualificazione agli Europei contro la Slovenia giocata in Piazzale Segni. Quello fu il primo mattoncino della mia esperienza azzurra. Indimenticabile.
Roberto Rubiu
(foto: www.lanazione.it)