Parma-Cagliari in curva, è dura star svegli: “Se beviamo noi cantiamo” e “Noi vogliamo un tiro in porta”

Tifosi del Cagliari nel settore ospiti del "Tardini" di Parma (foto: Oliviero Addis - SardegnaSport)

Tifosi del Cagliari nel settore ospiti del “Tardini” di Parma (foto: Oliviero Addis – SardegnaSport)

“C’avete solo la nebbia, solo la nebbia, c’avete solo la nebbia”. Quando si cerca un coro per sfottere i “padani” ecco questa cantilena. Tutti nel settore ospiti hanno però capito che è solo un modo di dire, perché alla nebbia si accompagna un freddo glaciale.

Sono circa duecento i tifosi cagliaritani, tra cui l’autore dell’articolo, che invece di guardare la partita ha passato il tempo a osservare come si svolge la vita di un “trasferista” del Cagliari. Sì, perché chi analizza le partite lo fa o dalla tribuna stampa o davanti alla tv, ma dalla curva la prospettiva è tutt’altra.

Il prato di Parma visto dai tifosi del Cagliari nel settore ospiti

Il prato di Parma visto dai tifosi del Cagliari nel settore ospiti

Più o meno alle due di pomeriggio il settore ospiti del “Tardini” di Parma inizia a riempirsi , qualcuno nota che i riflettori sono già accesi. Nebbia, freddo, buio alle due, ultima e terzultima del campionato, i presupposti per un gran bel pomeriggio di calcio non mancano! Entrano in campo i giocatori, Conti e compagni ci salutano e tutti esplodono di gioia. Con i giocatori si riscaldano anche i tifosi, in campo si passano la palla, sugli spalti si passano le birre, per non parlare delle giocate tecnico-tattiche di quelli che riescono a far entrare gli accendini e che la loro partita l’hanno già vinta prima di iniziare.

Lo spicchio a noi dedicato si colora, un gruppo di persone espone lo striscione “Non sarai mai solo” contornato da bandiere rossoblù. Sullo sfondo tutti gli striscioni dei vari gruppi e Cagliari Clubs. Ci sono quelli che vengono dalla Toscana, così come quelli che rappresentano gli emigrati nel Nord-Italia e coloro i quali si sono innamorati di questa squadra senza aver mai messo piede nell’Isola.

L’arbitro fischia l’inizio, ma le ugole sono calde già da un po’. Tanti gli accenti che risuonano: c’è chi ha il sangue sardo, ma è nato e cresciuto altrove, e con cadenza spiccatamente veneta canta “Forza Casteddu”; ci sono i sardi cresciuti in domo e emigrati in età adulta, ma non mancano anche i pochi arrivati direttamente dalla Sardegna. Le emozioni dal campo sono rare, partita noiosa, si canta per sostenere la squadra, ma anche per tenersi svegli. Dalla curva del Parma parte un coro di offesa per Dessena, noi rispondiamo a difesa di Daniele che ci ringrazia dalla panchina. Altra esplosione di gioia. Forse l’unica vera emozione del primo tempo.

Non esiste il vero e proprio capo ultrà che dà le spalle al campo tutta la partita, i cori li lancia chi vuole come una vera e propria Polis Greca culla della democrazia. Arrivati ormai al secondo tempo il numero di birre bevute ha superato il numero di controlli sbagliati da Farias, e difatti al solito “Se cantiamo noi vinciamo” si sostituisce il “Se beviamo noi cantiamo”. Tanto non ci resta che cantare, il secondo tempo è più noioso del primo e qualcuno intona: “Noi vogliamo un tiro in porta”, che più che un coro è una supplica. Quando Zeman decide di far uscire Longo per Joao Pedro ci accorgiamo con grande sorpresa che in campo c’era anche il giovane scuola Inter, mentre i commenti tecnici riguardo al brasiliano si sprecano, ma è meglio non riportarli, non vorrei incappare in querele. Gli ultimi quindici minuti sono quelli più intensi, finalmente i rossoblù provano a giustificare il viaggio sostenuto e iniziano a giocare. Ora il Cagliari attacca, e con loro il settore ospiti. Quando Cossu viene a battere sotto di noi un calcio d’angolo tutti ringhiano la voglia di vincere, ora ci crediamo davvero, Cossu si gira da noi e urla a sua volta, è il delirio. Delirio che però porta a poco, la partita più noiosa dell’anno rimane tale fino alla fine.

A fine gara Dessena e Mirante hanno qualcosa da dirsi, e allora nuovamente tutti prendono le difese del centrocampista sardo. I giocatori vengono a salutarci, il primo è Cossu da lontano, poi Conti, poi tutti gli altri che si avvicinano con convinzione. Avelar e Ekdal lanciano le magliette, gli altri ci ringraziano, sanno che vederli giocare in quel modo è stata una tortura, eppure il nostro apporto non è mai mancato. Ora si ritorna a casa, chi in macchina, chi in autobus, chi in treno. Con la poca voglia di fare chilometri e chilometri per tornare nelle proprie dimore, ma con la soddisfazione di essersi sentiti a casa per quei novanta minuti. Perché chi le trasferte le fa da un po’ di tempo quel settore lo sente suo. In trasferta la partita di calcio, il campo e il risultato sono solo il contorno di quella che è una vera e propria festa orgogliosa.

Oliviero Addis

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