Cagliari, dal fondamentalismo non si torna indietro: scelte drastiche, pochi scrupoli, si faccia scuola
Zdenek Zeman è un allenatore fondamentalista. Da quarant’anni allena, pur con gli accorgimenti apportati dal tempo, con lo stesso modulo: il 4-3-3. La fatica e il sudore come pane quotidiano, unici strumenti per mettere in campo un gioco basato su assodati principi: la ricerca spasmodica del fuorigioco, le verticalizzazioni immediate, il dai e sovrapponi, i tagli incessanti degli attaccanti ad attaccare gli spazi e disorientare le difese avversarie, i due tocchi come regola cardine che governa su tutto l’impianto.
Tommaso Giulini e Francesco Marroccu masticano calcio, ragion per cui erano perfettamente a conoscenza delle caratteristiche del gioco zemaniano quando hanno scelto di affidare al boemo la panchina rossoblù. La fiducia nel tecnico è stata cieca, a un punto tale da portarli a credere che, con il lavoro quotidiano, anche giocatori abituati a ben altri concetti di gioco sarebbero stati in grado di apprendere, e mettere in pratica, il credo boemo. Così è nato il Cagliari attuale, composto da giovani vogliosi di farsi forgiare dalle sapienti mani del Maestro e meno giovani pronti a mettersi a disposizione per la maglia e per la buona riuscita del progetto.
Nelle prime quattordici giornate il Cagliari ha cercato la sua zemanianità, attraversando un periodo di fisiologico rodaggio e mettendo in campo diverse prestazioni al di sopra delle righe. Negli occhi dei tifosi, e degli addetti ai lavori, brillano le prestazioni di Milano ed Empoli; la partita, disputata da padroni, contro il fortunato Milan di Inzaghi; il grande agonismo messo in campo nei pareggi ottenuti con le due sorprendenti genovesi; le tre reti siglate davanti ai 60mila del San Paolo. Pochi punti, ma tanto spettacolo condito da una sorte avversa che ha portato via ai rossoblù la possibilità di fare bottino pieno.
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Le migliori prestazioni hanno avuto, però, una costante: l’applicazione, quasi totale, dei suindicati principi del gioco zemaniano, spesso e volentieri ottenuta proprio con l’utilizzo dei più volenterosi giovani presenti in rosa. Non si vuole presumere che i veterani vogliano giocare un brutto scherzo all’anziano condottiero boemo: le motivazioni sono, semplicemente e squisitamente, tattiche.
La rosa del Cagliari può contare su uno dei pochi registi puri del campionato italiano: Lorenzo Crisetig ha fin qui mostrato di avere d’innanzi a se un futuro roseo. Non sorprenda, perciò, che nelle migliori prestazioni di Rossettini e compagni, a gestire la regia della squadra ci fosse proprio l’imberbe regista friulano. Pochi tocchi, un’innata capacità di verticalizzazione immediata, l’applicazione costante degli insegnamenti del maestro. Basti osservare la posizione del corpo con la quale Crisetig si propone ai compagni: sempre fronte alla porta avversaria, sempre pronto a guardare avanti, sempre pronto a premiare i tagli e gli incroci degli attaccanti, sempre pronto a girarsi nelle rare occasioni in cui è costretto a ricevere palla spalle alla porta: roba da scuola calcio.
L’esatto contrario di quanto mette in campo capitan Daniele Conti, appiattito in una cronica orizzontalità: costantemente spalle alla porta, tanti tocchi, tanti scambi con i difensori centrali, mai un lancio a premiare il taglio dei compagni, e, viceversa, tante “aperture” a difesa avversaria schierata, con scarsa propensione a far scorrere il gioco della squadra da un lato all’altro del campo. Zeman per primo ha sperato, fin dal primo giorno, che il capitano potesse mettere le sue immense qualità a disposizione della squadra, seguendo i dettami del suo tecnico e cimentandosi in una nuova – per lui -, interpretazione del ruolo del regista. Ci è riuscito a sprazzi (il top l’ha raggiunto nei primi 20’ di Cagliari-Milan), ma fatica a svestire i panni del gestore di un gioco piatto e orizzontale, macchinoso e fin troppo ragionato.
E’ normale che un tale percorso di evoluzione possa essere più lento per chi quel ruolo l’ha svolto per tanti anni sulla base di altri principi e con altri compiti. Ciò non vuol dire che, prima o poi, anche Conti non sarà in grado di vestire i panni del regista zemaniano, di guardare fieramente la porta avversaria, di mandare in verticale i propri compagni esaltandone le qualità e i movimenti ed esaltando al tempo stesso il pubblico pagante. Tuttavia, è evidente che la fase di “drammatica difficoltà” ufficialmente aperta dalla sconfitta contro il Chievo, lasci poco spazio agli esperimenti e alle evoluzioni. Si dia spazio, allora, al giovane regista, si diano le chiavi del gioco in mano a Lorenzo Crisetig, a colui che, nelle uniche due vittorie rossoblù in stagione, è stato per distacco il migliore in campo.
Zdenek Zeman è un fondamentalista. Il suo calcio, quando applicato con fedeltà ai principi, è in grado di regalare spettacolo ed emozioni ai tifosi del pallone. Non accetta, per questo, vie di mezzo: per quelle, esistono altre tipologie di allenatori, altre interpretazioni del calcio, altri modi di concepire lo sport. Chi lo sceglie, sa bene a cosa andrà incontro. Chi lo sceglie, per questo, ha il dovere di fare in modo che possa mettere in campo il suo credo, possa dare al suo calcio la possibilità di esprimersi liberamente, senza tentennamenti o contraddizioni di tipo alcuno.Solo allora, chi lo sceglie, potrà dire di aver provato a ricercare la zemanianità.
Niccolò Schirru
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