Merella e la faccia tosta del play in erba: “Voglio imparare a essere un leader. Eurolega meglio dell’Nba”
Forse facendo ricorso ai migliori prosatori o analisti ci si potrebbe avvicinare a renderne l’unicità, ma quanto prova la persona che arrivare a coronare un sogno inseguito sin da quando ancora gattonava resterà impossibile da rendere appieno con la semplice forza delle parole. E va così anche per Enrico Merella, che la domanda di rito la subisce, non può scansarla, e restituire quegli attimi da spasmi freddi e gambe molli, con quel mal di pancia che ti colpisce prima dell’interrogazione di matematica, non è per niente facile nemmeno per lui che l’ha vissuto. Com’è stato l’esordio nel massimo campionato italiano? “Diciamo che…” – attacca il giovanissimo biancoblù quasi a voler dimostrare di aver saputo già razionalizzare il tutto – “diciamo che quando ho visto che la partita si stava mettendo in una certa maniera e che Citrini si avvicinava hanno iniziato a sudarmi le mani e di colpo mi è salita l’ansia. Mi ha chiesto se mi ricordassi lo schema
d’attacco con la difesa a zona, poi il presidente mi ha dato una pacca sulla spalla e Meo ha fatto il mio nome. E’ stato semplicemente meraviglioso, ho visto che i miei compagni mi guardavano con fiducia e sono riuscito a giocare con la giusta faccia tosta. Un momento ‘assurdo’” - spiega infine Merella, sintetizzando così il ricordo della magica serata con un aggettivo rivoltato nel senso come un calzino. Potere della gioventù.
Accolto dalla famiglia Dinamo in estate dopo essere stato prenotato già dallo scorso febbraio quando furoreggiava con la maglia del Sant’Orsola in DNC, Merella mostra – a dispetto dei 18 anni – una maturità e una cultura del lavoro che rappresenteranno le migliori armi nel tentativo intrapreso di edificare una carriera ai massimi livelli: “Non mi pongo obiettivi a lunga scadenza, né mi cullo sugli allori dell’esordio. Devo pensare solo ad appianare le mie lacune e a diventare sempre più completo. In questi ultimi tempi sto cercando di migliorare molto nella gestione della palla e nella rapidità dei movimenti“. Allenamenti e migliorie necessarie, visto che le idee per il futuro sono anche queste piuttosto chiare: “Mi sento un play, su questo non ci piove. Durante il gioco mi piace avere responsabilità, potere e dovere caricarmi sulle spalle la squadra, essere un leader insomma. Sentire che tutti i compagni si girano verso di te per sapere cosa fare, chiedono consigli, si fidano“.
Un onere mica da poco e anche per questo – se lo scorso anno il modello da seguire era l’irripetibile ManDrake – quest’anno gli occhi del giovane azzurro si stanno posando famelici sui movimenti e sui comportamenti dei cervelli del gioco biancoblù, David Logan ed Edgar Sosa: “Li osservo attentamente in allenamento e durante le partite cercando di carpirne il più possibile i loro segreti. Logan è tecnicamente mostruoso, ma mi colpisce soprattutto il suo atteggiamento in campo, le sue capacità di leggere con intelligenza le fasi del match e di caricare sulle proprie spalle la squadra. Sosa invece, al di là di quello che sa fare in campo, riesce sempre a sdrammatizzare e a scherzare, ricordando a tutti che la pallacanestro è lo sport più bello del mondo“.
Il basket in casa Merella si respira a pieni polmoni da sempre. Il padre Paolo, apprezzato tecnico nel sassarese, e i fratelli Martino e Luca, con i giusti consigli e insegnamenti, hanno aiutato il più piccolo di casa a emergere e a spiccare, sino a quando lui stesso si è reso conto che in famiglia era ormai diventato il miglior cestista: “Me ne sono reso conto quando ho iniziato a vincere i primi uno contro uno (ride ndr). Loro rimasero impressionati dalla mia crescita fisica quando tornavo periodicamente da Anagni (per il giovane play due anni alla Fortitudo, che lo adocchiò al Trofeo delle Regioni 2011 ndr), dove ho passato momenti splendidi e fondamentali per il mio percorso grazie soprattutto al sostegno del preparatore Francesco Sciarroni. Quando mi chiamarono, non esitai un istante ad accettare“.
La svolta, quindi, avvenne oltre Tirreno, ma determinante nel raggiungimento di certi livelli sono stati il rigore e lo spirito di sacrificio inculcatigli da papà Paolo. “Ha intravisto da subito ciò che potevo diventare e mi ha seguito giorno dopo giorno, facendomi comprendere in che modo condurre una vita sana, responsabile e professionale. Alzarsi la mattina alle 6 per andare al palazzetto ad esercitarmi sui fondamentali, poi la scuola, gli allenamenti, i compiti. Tutti i giorni, con regolarità. Mi ha fatto capire che i risultati, nella vita, dipendono dalla costanza dell’impegno e dalla voglia di migliorarsi. E oggi, alla mia soddisfazione si somma la sua, che può prendermi come esempio da mostrare ai suoi allievi“. Insegnamenti che si perpetuano e restano moniti preziosi, perché, vuoi per umiltà vuoi per scaramanzia, Merella sfugge la domanda più insidiosa e ritorna sui concetti del lavoro: l’anno prossimo preferiresti, come Marco Spissu, giocare un campionato più competitivo rispetto all’attuale Serie C? “Io penso stagione dopo stagione, perché altrimenti se guardo troppo lontano dimentico chi sono e quello che sto facendo. E adesso sono concentrato a diventare un vero play, ad acuire l’intelligenza nel gioco, una lacuna che mi porto dietro perché quando sei abituato a fare 30-40 punti a partita, non pensi troppo a far giocare gli altri. L’anno prossimo vedremo se mi sarò meritato quest’opportunità“.
Al suono di due magiche parole, però, la giovane promessa sassarese stacca i piedi da terra e inizia a lievitare: la Nazionale e l’Eurolega. Con la prima, in maglia Under 18, la scorsa primavera si è laureato campione del mondo a Mannheim battendo in finale niente meno che gli USA, mentre la seconda – dopo l’esordio di lunedì contro Pesaro – resta un altro grande traguardo da raggiungere per chi ha il coraggio di andare controcorrente nella gerarchia dei desideri di qualsiasi giovane cestista. “Giocare l’Eurolega è il mio più grande sogno, più grande di quello dell’NBA, perché a me piace la pallacanestro vera. Negli Stati Uniti è tutto improntato sullo spettacolo, io preferisco il gioco più sanguigno all’europea, lo scontro, l’applicazione degli schemi. Starà a me farmi trovare pronto, continuare a impegnarmi duramente negli allenamenti. Solo così potrò conquistare le mie chance nella Dinamo e restare nel giro della Nazionale. L’esperienza in Germania mi ha dato un ulteriore stimolo, voglio continuare a indossare quella magica maglia con il mio nome. Mi vengono i brividi solo a pensarci“. Ci pensi pure, perché di ‘momenti’ assurdi, con queste premesse, è facile che ce ne siano tanti, tanti altri.
Matteo Sechi