“FRANCO come il rugby”, Antonio Falda racconta Franco Ascantini
“Roma. Uno studio. Due uomini conversano. Così comincia uno dei più intensi e partecipati dialoghi sul rugby, sulla sua filosofia, il suo futuro, le sue storie. Franco Ascantini, uno dei padri del rugby italiano racconta, ricorda, si lascia trasportare dalla passione per uno sport che l’ha visto prima campione poi allenatore di campioni. Da questo dialogo si snodano una e tante storie. Dove i personaggi che hanno fatto questo sport (da Marco Bollesan a Giancarlo Dondi) entrano come a spalancare una porta, a raccontare un episodio, una testimonianza, un ricordo, una traccia. Non una biografia ma l’occasione ideale per ripercorrere le tappe del rugby italiano”.
Sono parole di Antonio Falda, nato a Cautano (BN) ma residente da tanti anni a Capoterra, autore del libro “FRANCO come il rugby”(patrocinato dalla Federazione Italiana Rugby) ma anche di altre pubblicazioni dedicate al mondo della palla ovale.
Come e’ nato questo libro, cosa ti ha spinto ad affrontare proprio quell’argomento?
“Non sono mica sicuro di aver deciso io di scrivere questo libro. Penso, anzi, di non averlo deciso affatto, ma di essermi ritrovato a scriverlo, come se fosse naturale lo facessi. Forse perché gli argomenti di cui tratta sono tra quelli che principalmente mi stanno a cuore. Forse perché i punti di vista del personaggio “principale” di questo testo sono così condivisibili che fosse questa l’occasione ideale per ribadirli e riaffermarli. Forse perché certe decisioni a volte le prende chi sta veramente in “alto” e così, senza che te ne renda conto, ti ritrovi catapultato su una sedia, davanti a un pc, immerso in una storia, a scrivere. E di questo, Dei del rugby e della scrittura, io vi ringrazio. Credo sia molto importante conoscere la nostra storia, il nostro passato, per cercare di costruire meglio il nostro futuro. Così proprio come nel rugby dove per andare avanti, la palla si deve passare all’indietro, al tuo compagno più vicino. La storia di Ascantini, credo meriti venga conosciuta dalle nuove generazioni per quello che il suo lavoro di allenatore/educatore di migliaia di ragazzini, in sessantanni di vita sul campo, ha saputo produrre.
Pensi che il rugby sia fonte d’ispirazione piu’ di altri sport per uno scrittore, e perche’ ?
“Penso che ogni sport abbia le sue storie da raccontare e da far rivivere tramite la letteratura. Per quanto mi riguarda, attraverso il rugby, utilizzandolo come pretesto, ambientando quel che scrivo nel mondo della palla ovale, trovo i giusti stimoli per raccontare le storie e i personaggi, per ribadire i concetti di questo meraviglioso sport che non è solo uno sport, ma soprattutto un modo di vivere e pensare”.
Come vedi la situazione del rugby in Sardegna attualmente?
“In questo momento in Italia il rugby è in grande espansione, il movimento risente dell’influenza della visibilità che la Nazionale da qualche anno riesce a catturare. In Sardegna, l’attività rugbistica conta circa duemila tesserati, con le due squadre più importanti e di maggior prestigio della regione, l’Amatori Rugby Alghero e l’Amatori Rugby Capoterra che militano entrambe nel campionato nazionale di A2, un campionato regionale di serie C con circa dieci squadre, un buona e promettente attività giovanile e la presenza di un gruppo di squadre di rugby femminile con due di esse, Capoterra e Nuoro che quest’anno hanno partecipato alle finali nazionali svoltesi in maggio a Parma. I punti critici per noi isolani sono sempre gli stessi, qualunque attività si voglia intraprendere: la distanza tra una cittadina e l’altra e tra la nostra isola e il continente. Ciò comporta notevoli, maggiori costi di gestione e in questo momento di crisi globale tutto diventa più complicato. Per questo è importante, così come viene ribadito più volte nel libro, puntare sui giovani del posto, quindi sulla “base” e sulla scuola, come sarebbe normale che fosse. Lo sport deve diventare una materia importante quanto le altre, per insegnare ai ragazzi regole e concetti comportamentali per se stessi e nel rapporto con gli altri”.
Il rugby non e’ solo uno sport, ma un modo di vivere. E’ sempre una storia di vita, perché è uno degli sport più aderenti alle esigenze di tutti i giorni: lavoro, impegno, sofferenze, gioie, timori, esaltazioni. Chi vive di rugby sa che non è uno sport da protagonisti, ma una somma di sacrifici, e che non esistono ex-rugbisti: chi ha giocato a rugby è rugbista tutta la vita. Non è un caso che in inglese non si dica “rugby player”, cioè giocatore di rugby, ma “rugbyman”.