Un Delyrio così non lo fanno più
Il centravanti è lì, almeno due metri oltre la linea difensiva avversaria, ma non ha fretta di rientrare dal fuorigioco. È come se leggesse in anticipo ciò che sta per accadere e intuisse di potersi avvantaggiare dalla sua posizione avanzata. Basterà correre un po’ meno del compagno che sta scattando a destra, e che riceverà il pallone. D’altra parte, a lui, correre meno degli altri è sempre venuto bene.
Quel centravanti si chiama Julio César Dely Valdés, ha un nome che fa tanto imperatore romano e una nazionalità che più che al calcio fa pensare a colossali opere di ingegneria idraulica, regimi militari pilotati dalla Cia e copricapi di moda nei primi anni del XX secolo.
Julio César Dely Valdés è nato a Panama il 12 marzo 1967, e da un anno e mezzo gioca nel Cagliari. È arrivato dal Nacionál Montevideo, portato dal procuratore uruguaiano Paco Casal. In quell’anno e mezzo, Dely è diventato Delyrio, e ha spiegato ai cagliaritani orfani di Enzo Francescoli che a Panama sanno pure giocare a pallone. E bene.
Mentre Roberto Muzzi scatta sulla fascia, Julio rallenta, accorcia il passo quel tanto che basta per rientrare in gioco, si piazza a centro area e aspetta il pallone che arriva proprio lì, dove lui sapeva sarebbe arrivato, oltre il corpaccione di Angelo Peruzzi e a due passi dalla linea di porta. Gol. È il secondo dei tre che il Cagliari segnerà alla Juventus quel 22 gennaio del 1995. La Juventus di Marcello Lippi, quella di VialliDelPieroRavanelli, da pronunciare così, tutto attaccato come a Cagliari si pronuncia Giggirriva, quella che vincerà lo scudetto e a fine stagione darà il benservito a Roberto Baggio, ufficialmente di troppo, prima di infilare tre finali di Champions League consecutive, vincendo la prima e perdendo le altre due. È, per molti, una delle Juventus più forti di sempre, e ha appena preso una lezione di calcio dal Cagliari di Tabarez.
Magie di una Serie A dimenticata, di un calcio che non c’è più, dove i centravanti facevano i centravanti. E Julio César Dely Valdés era uno dei migliori.
A Cagliari, negli anni seguenti (ma anche in quelli precedenti) uno come lui non lo si è più visto. Si piazzava lì al centro dell’attacco e aspettava il pallone. Poteva riceverlo fronte o spalle alla porta, ma sapeva sempre cosa farne. Giocava di sponda per i compagni, oppure cercava la conclusione. Destro o sinistro faceva poca differenza. Calciava di potenza e precisione, con bordate sotto la traversa o col tocco sotto, anni prima che il “cucchiaio” iniziasse a chiamarsi “cucchiaio”.
Il gol, per lui, era un piacere, non un’ossessione. In due anni di Serie A ne segnò 21, aggiungendone quattro nella cavalcata in Coppa Uefa conclusasi solo in semifinale nel 1993-94. Non ne faceva molti, ma li faceva quando serviva. Come contro la Reggiana, sul finale del suo primo anno in rossoblù, con la squadra alla ricerca di punti salvezza in uno scontro diretto. Risultato: 3-0; Valdés, Valdés, Valdés; di testa, al volo di destro e con un pallonetto di sinistro. Con tanto di stretta di mano dell’arbitro Marcello Nicchi.
Era come se il gol fosse la naturale evoluzione del suo modo di stare in campo. Mai un passo di troppo, mai uno scatto fuori luogo. In campo si muoveva poco, ma lo faceva nel modo giusto. Due, tre passi, lo stretto necessario per piazzarsi sulla mattonella esatta in cui sarebbe arrivato il pallone, mentre i Moriero, gli Oliveira e i Muzzi correvano come matti portandosi dietro i difensori avversari.
Dely era così, un uragano placido, un fuoco gelido, una mareggiata portata dalla bonaccia. Ossimoro vivente testimoniato dal suo soprannome, Delyrio, così distante dal suo modo d’essere mai sopra le righe, perfettamente concentrato in quel sorriso che mostrava uno dei pochissimi vezzi estetici che si concedesse: due denti d’oro (il secondo era una catenina al collo che portava in campo ogni volta che un arbitro particolarmente distratto glielo concedeva).
Oggi, uno così, non potrebbe mai giocare nel Cagliari. E avrebbe forse un’occasione migliore di quella che capitò a lui quando lasciò la Sardegna per andare a vincere una Coppa delle Coppe col Paris Saint Germain, prima di chiudere la sua avventura Europea da grande nelle piccole di Spagna (Oviedo e Malaga) e tornare a casa dopo un breve passaggio a quel Nacional di Montevideo che l’aveva lanciato 10 anni prima.
Oggi, uno così, forse non lo fanno nemmeno più. Di certo non lo si vede a Cagliari. Destro, sinistro, testa, e un’intelligenza calcistica ben al di sopra della media. Julio César Dely Valdés.
Gabriele Lippi