Zucchi prende e trattiene, Giorico gestisce: e l’Arzachena fa miracoli
C’è una realtà, in Serie D, che nessuno aspettava lassù al vertice e campione d’inverno. Che nessuno ha forse ancora capito, disorientato da risultati roboanti (soprattutto in casa) e giocatori luccicanti, sui quali in pochi avrebbero scommesso in estate. E’ l’Arzachena di mister Mauro Giorico, dei granatieri d’attacco Piotr Branicki e Andrea Sanna, dei bucanieri mediani Danilo Bonacquisti e Joseph Manzini e di tante altre belle cose (tra cui i giovani), ma soprattutto di quell’Antonello Zucchi che zitto zitto e tra mille dubbi ha costruito una squadra capace per ora di mettere in fila le corazzate “spendaccione” di un campionato mai così combattuto e sorprendente come la Serie D 2015-2016.
L’Arzachena, che come ultima gemma ha battuto “nientepopòdimenoche” la Viterbese (clamoroso 1-0 con gol di Dedola allo scadere e rigore parato subito dopo da Ruzittu), è un gruppo candidato a sprofondare da un momento all’altro, chiamato a sovvertire il pronostico ogni settimana e contro (quasi) chiunque, finendo (quasi) sempre per lasciare a bocca aperta. O forse chiusa, intesa come quella di coloro che avevano profetizzato troppo avventatamente le disgrazie smeraldine.
Squadra che il suo direttore sportivo ha costruito in estate, ma soprattutto confermato a dicembre, quando le sirene di piazze ben più facoltose si facevano sentire per diversi elementi in rosa. Aver trattenuto Andrea Sanna (“Qui sto molto bene – ci ha detto pochi giorni fa – Mi trattano benissimo e si fa calcio serenamente”) è stata la grande vittoria di mercato, così come trattenere Branicki in estate riuscendo a prendere un difensore centrale come Boi al fianco di Brack. E poi la cerniera dei fedelissimi, Manzini-Bonacquisti, capace di mettere in panchina un La Rosa titolare probabilmente in tutte le altre squadre del girone. Senza dimenticare i giovani, che quando esplodono piacciono a tutti ma che in estate nessuno conosce. Spuntano così i ’95 Dedola e Atzei, i ’96 Illario (appena firmato), Ciudino, Galli Angeli, Petrone e Castaldi, i ’97 Gambardella, Mulas e D’Alterio, i ’98 Oggiano (proprietà Cagliari, sarà perno della prossima Primavera) e Cavallaro. Alcuni di loro già ammirati più volte (Castaldi, Dedola, Atzei e Oggiano) altri a sognare la rampa di lancio.
Un anno fa l’Arzachena girava con la salvezza quasi in tasca, dopo un’estate da ripescata e nella quale costruire in fretta e furia la squadra, che sarebbe stata di fatto l’ossatura di quella odierna. Subito si videro l’essenzialità dei dettami di Giorico, basata su gioco corto e verticalizzazione, mordente ed esperienza dei pilastri confermati un anno dopo. Una politica che ha permesso di guardare in prospettiva e rendere molto appetibile una piazza dove competenza e raziocinio sopperiscono alle tasche non sconfinate degli avversari. Segno che anche in Sardegna e anche i sardi sono capaci di mantenere in quarta serie (o forse più in alto?) una compagine utile per trovare entusiasmo e giovani da far maturare.
Nessuno pensa ad un’Arzachena capace di azzannare la Lega Pro (ma le cose impossibili, a volte, a furia di essere scacciate si verificano), nessuno prevede i verdi davanti a Grosseto, Viterbese, Rieti, Olbia e Torres nei prossimi mesi, eppure per ora sono gli altri a dover rincorrere. Nelle ultime settimane è stato scalfito anche lo scetticismo (in primis nostro) sulla profondità della rosa, negata invero dallo stesso allenatore e dallo stesso Zucchi. Chi è stato chiamato in causa, però, non ha mai fatto rimpiangere titolari squalificati e infortunati, partorendo un primato comunque storico.
In mezzo agli elogi per quanto fatto, che sarebbero stati leciti anche in caso di debacle casalinga contro la Viterbese, c’è da analizzare anche l’ultima partita contro i gialloblù. Una gara brutta e fisica, condizionata da un arbitraggio scadente, dove i Giorico-boys hanno tenuto il campo lasciando alla Viterbese ridotta in 10 dalla mezzora un solo tiro in porta (punizione di Belcastro). Un pizzico di stanchezza, per i sardi, è giustificata, proprio per quanto detto sopra, ma mentalità (nessun tremolio da vertice o da confronto con una big, voglia di lottare e di non accontentarsi), facce nuove (Gambardella su tutti) e risultato positivo con finale orgasmico partoriscono un piatto sul quale nessuno può davvero dire nulla.
Fabio Frongia