L’analisi sul momento del Cagliari dopo il KO di Torino
Due sconfitte su tre partite, si chiude così la settimana di fuoco e di benvenuto a Diego Lopez. Il Cagliari visto a Torino ha avuto più facce, tra barlumi di spunti incoraggianti e tanti altri che hanno fatto ripensare ai momenti più bui. In realtà questi non sono mai stati debellati, nemmeno nell’orgasmica serata di mercoledì scorso, e in Piemonte il ritorno agli antichi patemi è risultato fatale.
Non semplice decifrare i rossoblù che stanno provando a rinascere, con il cambio di modulo (il 3-5-2 non si tocca, Lopez ha deciso) e il vorticoso impiego degli effettivi a disposizione. Ha un po’ stupito il massiccio turnover post-Benevento, non tanto perché non ce ne fosse bisogno (anche se i dati sulle migliori squadre italiane ed europee dicono, come ribadisce Sarri, come “il turnover sia una masturbazione tutta nostrana”), quanto perché l’impressione pre-Torino era stata quella di una squadra con determinati capisaldi. Tutti o quasi sconfessati dalle scelte di ieri: Padoin da mediano a fluidificante bocciando Miangue (a ragione, visto il suo quarto d’ora), Joao Pedro riproposto da mezzala, fiducia al duo brasiliano oggi foriero più di perplessità che di sorrisi.
La sostanza dice che cambiando l’ordine degli addendi il Cagliari cambia poco, e allora sorge spontanea la domanda sul valore della rosa edificata in estate. Dopo quattro mesi è lecito iniziare a interrogarsi, pensando alle eventuali valutazioni errate (le nostre come quelle di tutti, società compresa), allo stato dell’arte e a quel che si dovrà fare a gennaio. Ammesso, come ribadiamo sovente, che ci siano le condizioni per operare concretamente.
Non ha dubbi il presidente Tommaso Giulini, sempre che le sue dichiarazioni non siano semplice circostanza e messaggio ai naviganti (leggi giocatori e staff), ma qualche perplessità in merito sorge. La rosa rossoblù fornisce poche soluzioni in fatto di qualità, personalità e reale capacità di ricoprire determinati ruoli, laddove la duttilità di cui ci si è riempiti la bocca dall’8 luglio somiglia più ad un accartocciarsi di mansioni svolte tutte in modo precario.
C’è una difesa dove il solo Romagna risulta talento affidabile, mentre gli altri zoppicano a turno, una mediana in cui Cigarini annaspa (alternando compassato ragionamento e terribili pause) e i corridori vagano, un attacco con i piccoli fumosi e dove Pavoletti assume i connotati del classico panzer arruginito da innescare bene, altrimenti si sgretola. Ci mancava solo la porta, sino all’altro giorno la sezione più confortevole e oggi inficiata dai malanni dell’ottimo Cragno e dalle imperfezioni del suo vice.
Vero è che, e qui veniamo alle sparute note liete, il cambio di guida tecnica ha regalato innanzitutto una apertura delle finestre per fare entrare aria fresca: modulo nuovo, meno lanci lunghi, ricerca della compattezza, contropiede più ragionato, maggiore coesione con e senza palla. Anche se rispetto al passato (sopratutto recente, pensiamo alle ultime recite rastelliane fatte di zero assoluto) qualche raggio di luce sembra vedersi, altrettanto innegabili sono i limiti tecnici (e qui torniamo al valore della rosa), atletici (crollo verticale nella ripresa, ormai una prassi) e di carattere. Eppure, con tutti i problemi del momento, il Cagliari poteva infilzare un Torino che di guai ne ha (e aveva) almeno in egual misura. Lecito, dunque, arrabbiarsi per quel che poteva essere e non è stato. Sbagliato (sarebbe) crogiolarsi su timidi miglioramenti, su assoluzioni che sanno di polvere gettata sotto il tappeto.
Oggi il quesito inerente il Cagliari è il seguente: la rosa è adatta per ottenere una salvezza tranquilla o servono innesti mirati in tutti i reparti? Nel primo caso basterebbero unità di intenti (e non c’è motivo di dubitare che non vi sia) e normalizzazione (ne abbiamo già parlato, ma i vorticosi cambi non depongono a suo favore), scegliendo i bucanieri e lasciando fuori chi non fa al caso rossoblù. Se, invece, il cantiere dovrà essere riaperto, bisognerà mettere mano al portafoglio e accendere le competenze. Anche qui, però, non si scapperebbe: bando alla confusione, al miscuglio di ruoli e voci interne, per cementare un Cagliari quanto mai fragile.
Fabio Frongia