Cellino, un fantasma sempre ingombrante

Il nostro commento dopo le bordate dell’ex patron, Giulini è pronto a rispondere?

Massimo Cellino e Tommaso Giulini, il passato e il presente presidenziale del Cagliari

Massimo Cellino e Tommaso Giulini, il passato e il presente presidenziale del Cagliari

Ha fatto discutere, e non poteva essere altrimenti, l’intervento fiume di Massimo Cellino in una calda serata di piena estate. Il rumore, gli strali celliniani, lo hanno sempre suscitato, e c’è da scommettere che sarà così ancora per molto tempo. In attesa di un’eventuale risposta (se arriverà, ma è probabile) da parte di Tommaso Giulini, sferzato dal suo predecessore in modo tanto forte da rischiare strascichi non solo mediatici ma anche giudiziari, commentare la sortita del nuovo patron del Brescia risulta d’uopo.



Personaggio cinematografico, scheggia impazzita, lupo solitario impossibile da decifrare e governare. Le definizioni per il 61enne imprenditore sanlurese potrebbero essere infinite, e dalla sua barca attraccata in Corsica non si è davvero risparmiato. L’orizzonte bresciano, certo, con dichiarazioni che in clima Rondinelle già scatenano il tam tamma sono soprattutto il Cagliari, la Sardegna e tutto ciò che gravita attorno al loro pallone a rimanere al centro dell’arena anche a tre anni dal suo addio. Rumoroso, così come la sua presenza dietro la tenda, tra vecchi amanti e antichi adepti, nostalgici e fieri avversari, questi molto più vicini all’odio che alla mera contestazione. Tante platee, tutte numerose e accese dalle parole di colui che per più di vent’anni è stato deus ex machina rossoblù.

Non è semplice raggruppare in poche righe il sunto della sua intervista-monologo, ancor meno lo è analizzare in modo razionale senza doversi per forza piazzare al di qua o al di là del guado. Normale che, in un’epoca dove la contrapposizione è automatica su qualsiasi topic, il dibattito si sia appiattito su chi sostiene una posizione e chi l’altra, al grido di “Aridatece Massimo!” oppure “Sparisci Cellino, vai a Brescia“. Tra la divinizzazione e l’insulto, però, può esserci spazio per il ragionamento, senza per forza dover convincere chicchessia a cambiare opinione.



Il fulcro degli strali di Cellino è stato sicuramente lo stadio, la Sardegna Arena che è pronta a vedere la luce. Impossibile non notare come tale argomento aizzi ancora l’ex presidente, scottato da una vicenda durata quasi tre anni e che lo vide anche arrestato. Un delirio al tramonto della sua avventura, con quell’Is Arenas tirato sul dal nulla e prontamente abbandonato (mai dichiarato abusivo nel suo complesso, bensì in alcune sue minime parti), prima dei mortificanti esili. Un Is Arenas che oggi è, di fatto, la Sardegna Arena portata accanto al Sant’Elia, con qualche miglioria ed evoluzione, ma nella sostanza frutto di una amovibilità dichiarata impossibile in sede giudiziaria e poi ammirata nella realtà odierna. Su questo – oltre al “quello stadio è al cento per cento fatto da me” in riferimento ai materiali utilizzati – Cellino si è infervorato, legandosi ad un discorso stadio che, c’è da giurarci, lo vedrà protagonista anche a Brescia. Si preparino, in Lombardia, all’istrionismo della loro nuova guida, all’uomo che poche regole ama seguire e tutto da solo vuole fare, “tranne stampare i biglietti perché col computer non sono bravo”. Sarà una bella partita, quella sul Rigamonti, dove Cellino ha già preannunciato che non cambierà modo di comportarsi – “se vogliono in tre mesi faccio lo stadio”, vi ricorda qualcosa? – rischiando di scottarsi pesantemente ancora una volta. Non resta che aspettare.

Pesante la caduta di stile con riferimento alla spinosa vicenda Fluorsid (quell’“io non inquino” avrà fatto sussultare un Giulini che prova a voltare pagina dopo il deflagrare dell’inchiesta), schizzo di follia del quale non c’era francamente bisogno, ma del quale non ci si può stupire. E poi gli arbitri e nomi non detti pensando a quei poteri forti che – dopo anni di luna di miele e connivenza – forse lo zampino per dirottarlo sull’Inghilterra lo hanno messo. Un addio avvenuto dopo mesi di follia collettiva, tra arabi, cinesi, russi e “silvestroni”, nel quale anche Cellino alimentò il fuoco prendendosi gioco di tanti, compresi i cortigiani di una vita.



La vicenda stadio, con esodi e liti varie nelle sedi competenti, merita però altri accenni, senza dimenticare che oggi c’è una “legge sugli stadi” che ai tempi non esisteva, e che oggi ha permesso al virtuoso Cagliari giuliniano di intraprendere una strada con tappe definite e calcolabili, cosa non da poco. Perché se è vero che – in fin dei conti – lo stadio a regola d’arte Cellino non lo ha mai voluto fare (tra progetti incompleti, rendering di facciata, mancanza di passaggi burocratici), è altrettanto innegabile che di porte aperte ne abbia viste ben poche, anche per colpa del suo atteggiamento di cui sopra. Così come è cronaca l’accordo extra-giudiziale che ha visto il Cagliari Calcio (Giulini ringrazia) incassare 2.6 milioni dal Comune di Cagliari, evidentemente convintosi che tutti i torti – l’odiato Cellino – in quella vicenda legata alla manutenzione del Sant’Elia non li avesse. Un Sant’Elia andato in rovina perché il Comune di Cagliari (nelle varie amministrazioni) non ha mai provveduto alla manutenzione di sua competenza. E a Trieste (pagina tra le più tristi e paradossali della storia rossoblù) il Cagliari ci andò per ripicca presidenziale, ma anche perché la Commissione Provinciale di Vigilanza (pronta a pronunciarsi sulla Sardegna Arena) dichiarò inagibile il Sant’Elia.

Ce n’è abbastanza, e anche di più, per confermare come il tutto non sia nero o bianco, in una storia chiamata stadio del Cagliari che ha altri capitoli da scrivere (si attende il progetto per ciò che dovrà nascere sulle ceneri dell’abbandonato Sant’Elia) e ne ha già visti tanti, non sempre facili da comprendere o analizzare.

Cellino ha legato a sé pagine brillanti e altre demoralizzanti, tra grandi vittorie e succose scommesse vinte (ma anche perse), battaglie orgogliose e trovate da copertina, mediocrità e rinunce, appiattimento della piazza e disinnamoramento per mancanza di ambizioni, totale assenza di organizzazione societaria (a Leeds, per gradire, ha fatto anche il cuoco) e sprezzo di ogni controparte. Non si è mai nascosto (non lo ha fatto neanche nell’ultima uscita) quando sosteneva che “il calcio è come un’azienda, bisogna avere i conti in ordine e guadagnarci, è un lavoro”. Parole che non piacciono al tifoso, ed è comprensibile. Lo stesso tifoso che, alla fine, vuole vincere e basta, che si compri tanto per, coi soldi degli altri e chi se ne importa di quel che succede contestualmente. Salvo poi, non sempre, accorgersene ex post e indignarsi. Il tifoso che poco capisce la spregiudicatezza di Cellino, ma è abbastanza sveglio da vedere che gli obiettivi e la dimensione del Cagliari – oggi – non è (ancora) cambiata, tra una salvezza in Serie A da tenere coi denti, il mercato al risparmio, i conti della serva e gli stadi da costruire.

Il settore giovanile del Cagliari odierno cerca ancora sé stesso, aspetta di sfornare pepite, attinge da fuori e prova a pescare i jolly, punta sull’arma Olbia – un progetto meritorio di Giulini, così come lo è tutta l’attività sul marketing, l’inclusione della gente, l’immagine, i negozi ufficiali ecc., – e ha cambiato rotta rispetto al passato. Rispetto a quando, con Matteoli braccio destro di Cellino, si spendeva poco o nulla e si rimaneva con prodotti isolani. E anche da lì si sfornava ben poco, rischiando di perdere gente come Sau e perdendo tanti altri suoi coetanei, portando in prima squadra “occasioni” di dubbio valore ma tirando fuori quello che oggi è l’unico patrimonio di Giulini: Nicolò Barella.

Che poi, per il momento, il Cagliari di Giulini non sia ancora riuscito a “patrimonializzare” (per citare il ds Rossi) vendendo calciatori acquistati dal 2014 ad oggi è un altro dato di fatto, anche se l’attuale proprietà ha investito (da Cragno a Ionita, passando per Isla e Borriello, tra gli altri) e conta di trovare nel futuro più o meno prossimo occasioni per crescere, tecnicamente ed economicamente.



Argomenti e diversità di posizioni, caratteri agli antipodi e intendimenti tra i più diversi, comportamenti diametralmente opposti per vivere in un mondo schizofrenico come quello del calcio. “Il più pulito ha la rogna”, dice qualcuno. O, anche, “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Tanto la lotta del tutti contro tutti è partita da un pezzo.

Fabio Frongia

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