L’imprenditore sardo nuovo patron del Brescia: “Ma a Cagliari non torno”
Intervistato da Franco Ligas per YouTg.net, Massimo Cellino ha parlato del suo sbarco a Brescia. Dopo l’intervista al Corriere della Sera, nuove riflessioni dell’ex patron del Cagliari, pronto a rituffarsi nel calcio italiano. Intanto si gode un po’ di vacanza a Bonifacio, in Corsica.
“Chi me l’ha fatto fare? Boh, mia moglie – esordisce – Ho sessant’anni, pensavo di dedicarmi ai figli e alla famiglia, ma dopo un mese anche loro mi hanno chiesto perché non mi dedicassi al calcio. Pensavo di averli trascurati, invece vogliono essere trascurati”, scherza col sorriso denotando grande serenità. Perché proprio Brescia? “Io sono uno che segue un po’ i segnali, il Brescia mi ha sempre trasmesso segnali positivi. Intanto era di un mio amico come Gino Corioni, poi nel 1992 quando andammo in Coppa Uefa (Mazzone allenatore del Cagliari, ndr) il Brescia batté la Sampdoria con un rigore di Raducioiu e ci permise di qualificarci mentre vincevamo contro il Pescara. Ogni volta che il Brescia era nella nostra categoria ero sicuro che non saremmo retrocessi”.
“Io metto tutto me stesso in quello che faccio. Le squadre di calcio sono tante, per me il calcio è una professione, non più una missione o una passione come è stato quando ero al Cagliari. Fare calcio è un lavoro serio, il Brescia ha tutti i presupposti per essere un’azienda decente, per questo ho scelto Brescia, dove si può fare calcio guadagnando. Chiaro che ci devo guadagnare, mica voglio perderci. Ho scoperto che nel calcio si vuole guadagnare e vincere le partite, così siamo contenti tutti, io e i tifosi”.
“Il Cagliari di Cellino con i bilanci in attivo? No, era Massimo Cellino che aveva i bilanci in ordine – ci tiene a precisare – Nel 1992 prendo il Cagliari perché era la squadra della mia città, fatturava 20 miliardi all’anno e perdeva 1,5 miliardi all’anno. Negli anni Duemila il Cagliari diventava una fonte di perdita enorme per il nostro gruppo, con i miei fratelli non andavo più d’accordo e ci separammo, così io sono rimasto sul calcio e gli altri hanno seguito l’attività di famiglia. Quando sono rimasto solo a capo del Cagliari ho dovuto capire come gestirla, mi sono messo a lavorare nel calcio per evitare perdite, per guadagnare, per pagare tasse, e ho capito quanto sia difficile, perché il mondo del calcio è irrazionale e folle. Retrocedetti, riportai il Cagliari in Serie A dopo quattro anni durissimi (nel 2004, ndr), e capì che dovevo rimanere a galla. Ho imparato a fare calcio come in una normale azienda, quando mi chiedevano quale fosse il mio sogno dicevo sempre che avrei voluto vincere lo Scudetto e guadagnare 100 milioni di euro, perché se vinci ma perdi molti soldi sei un coglione”, esplodendo in una fragorosa risata.
“Ho già la tessera della Lega Nord, perché a Brescia devi averla – dice facendosi serio – La Lega, prima che si sposasse con Roma, pensavo fosse una buona alternativa per l’Italia. Credo che Brescia sia una miniera da dove si possono ancora togliere dei diamanti. La questione stadio? Io ne so qualcosa dopo aver visto Cagliari – spiega, facendo gli scongiuri e scherzando sulla sua scaramanzia ricordando le peripezie di Sant’Elia e Is Arenas – Se in Italia non si investe sugli stadi non si arriva da nessuna parte, prima ci vuole lo stadio poi tutto il resto. Brescia ora ha un immondezzaio, idem Cagliari, ma non fatemi parlare di Cagliari perché sennò mi arrestano di nuovo, è il passato… Parliamo di Brescia: io posso dimostrare a tutti che, se vogliono, in tre mesi faccio lo stadio in tre mesi con i soldi miei, senza finanziamenti pubblici o bancari, cosa che non ho mai avuto. Lo stadio fa parte di un asset di investimento, fondamentale per creare futuro di una società di calcio, che per me è una società per azioni, un’azienda come tutte le altre di altri settori. Questo voglio fare a Brescia. Io un romantico? No, sono un imprenditore. Gli allenatori? Loro devono fare il loro mestiere, io faccio il presidente, molto spesso le due figure vogliono sforare dai loro ambiti, c’è un regista e c’è un produttore, noi investiamo e gli allenatori – che vanno e vengono – lavorino, poi tanto i danni che fanno loro li pagano società e tifosi, che rimangano”.
Un errore della sua vita? “Non mandare via un allenatore come Renzo Ulivieri nel 1999-2000, per difendere la mia scelta e rispettare l’uomo, ma ci costò 4 anni di Serie B e un calvario che tutti conosciamo. Fu una scelta di principio dannosissima, da allora ho capito che bisogna fare scelte razionali, ognuno con i suoi ruoli”.
Prenderà Gilardino al Brescia? “Chi è? Cosa fa ora? Gran ragazzo, gran centravanti però… I tifosi li vedrò allo stadio, li conoscerò allo stadio, quelli che vengono allo stadio per me sono i tifosi, chi scrive sui social o sui blog per me è un vigliacco e non un tifoso”.
Cosa succederà quando il Brescia sfiderà le grandi del calcio? “Intanto pensiamo alla Serie B, dobbiamo ricostruire una squadra, senza voli pindarici. Non acceleriamo le cose, ora tra Serie B e Serie A ci sono 5 livelli di differenza, se non crei un’azienda strutturata che possa reggere il salto rischi di andare in Serie A e tornare in B subito”.
Da chi verrà affiancato? “Da nessuno, faccio tutto io. So fare tutto io, anche tagliare l’erba, l’unica cosa che non so fare è i biglietti, per quello con i computer mi aiutano i miei figli. I giocatori possono giocare anche senza allenatore, il calcio è fatto di equilibri, molto spesso le partite si perdono perché una moglie litiga o un bambino figlio di un calciatore ha la febbre, o perché un magazziniere piega male una maglietta. Io non ho mai dato tanti soldi, non ho mai parlato di stipendi e di cifre, parlare di denaro è antipatico e l’ho sempre pensato, però molti ragazzi hanno giocato con me per sei-sette anni e vuol dire che certi rapporti vanno oltre le questioni economiche. Io penso di essere l’uomo più ricco del mondo, perché quello che concordo do, per questo mi considero tale”.
Da quanto pensava al Brescia? “Da due anni, ho aspettato. Una volta morto Corioni ho parlato con Marco Bonometti, che è persona seria ma non capisce e capiva di calcio. Gli ho detto di farsi da parte, perché rischiava di farsi male seriamente, col tempo ha capito che fare calcio è una professione e non un hobby, e dunque era giusto darmi il Brescia e lui avrebbe recuperato qualcosa del suo investimento”.
Cosa ne pensa dei cinesi nel calcio? “Io di calciatori cinesi non ne ho mai visto, meglio che facciano altre cose, il calcio continuiamo a farlo noi. E’ giusto che il calcio italiano si riprenda, lo stiamo distruggendo, un tempo era importante per il nostro paese. Un giorno, in un’altra intervista, vi racconterò cosa fanno i calciatori e apprezzerete i loro sacrifici, le loro qualità, il loro valore. Quando guardiamo un film con grandi attori ci chiediamo forse quanto guadagna quell’attore? No, paghiamo il biglietto e guardiamo il film, nel calcio invece ci interroghiamo tutti quanto guadagna questo o quell’altro. Nel nostro mondo si infangano dei professionisti che producono ricchezza per il nostro paese, il giornalismo dovrebbe difendere di più le persone per bene e criticare i faccendieri che fanno calcio con soldi fasulli riempiendo pagine di giornali e non le tasche. Io non prendo impegni che non posso onorare, per questo mi ritengo ricchissimo”.
Sulla proposta Galliani-Cellino per prendere il Genoa da Preziosi? “A me piace fare l’amore in due, non in tre o di più – scherza – Il Brescia è femmina, la Leonessa, il Genoa è maschio e mi piace meno… Brescia è società con grosso potenziale, io ci credo”.
La rivalità Brescia-Atalanta? “Datemi due anni di tempo e con Antonio Percassi rideremo – ride Cellino – Ci divertiremo insieme, non vedo l’ora di incontrarlo in Serie A, è il miglior presidente che oggi c’è in Serie A. Spero di essere ancora fresco per poter fare concorrenza a Percassi. Mi piacerebbe dirvi oggi che porto il Brescia in Serie A domattina, ancora non so nemmeno dove si allena il Brescia, io voglio sognare però prima bisogna creare le fondamenta. Sono bravo a costruire, voglio fare qualcosa di importante per avere un’azienda seria che possa affrontare le intemperie del calcio. Bisogna investire per arrivare a gestire poi senza investire più, rientrando degli investimenti. Faccio tutto con i soldi delle mie aziende, con i soldi che posso spendere, senza troppi voli pindarici. Se non riuscirò nell’impresa non lascerò debiti, non farò fallire aziende, cose che non ho mai fatto”.
La Sardegna Arena? “E’ 100 per 100 roba che avevo messo io, dissero che non era amovibile, invece l’hanno smontato e rimontato. Sto aspettando ancora il processo, non fatemi parlare…”.
I tifosi del Cagliari, parte di essi, la criticano: “Auguro il meglio al Cagliari, tiferò sempre per la squadra della mia città, spero vada sempre meglio con Giulini o altri, non mi nascondo e non voglio fare i nomi di tutti quelli che a Cagliari mi hanno fatto malissimo in 23 anni”.
“Il Cagliari è e sarà sempre la mia squadra. Non inquinavo abbastanza forse…”, dice sibillino riferendosi in maniera piuttosto chiara alla inchiesta Fluorsid (l’azienda di Giulini indagata per disastro ambientale). “Povera Sardegna nostra”, rincara.
Si parla dello spareggio di Napoli col Piacenza: “Uno schifo, andammo in Serie B con dignità, ritornammo con la stessa dignità. Fu una schifezza che fece emergere lo sporco che tuttora c’è nel calcio. Io sono pulito, molti miei colleghi no. In quella partita non fecero l’antidoping, e l’arbitro di quella partita chi era? Quel Stefano Braschi che fece grossi danni più avanti da dirigente del Siena, lo mandai io via dalla riunione di Lega. Non scherziamo”, si fa più rovente Cellino. “Non dimentichiamo – continua – che Mutti allenava il Piacenza ma aveva già firmato col Napoli, tant’è che i tifosi azzurri tifavano per loro. I nostri tifosi vennero con la Tirrenia da Cagliari, il grande Sindaco Mariano Delogu caricò i pullman di Cagliari nelle navi perché quello di Napoli non ce li mise a disposizione, i tifosi partenopei ci riempirono di pietre e da allora è nato l’astio tra le due piazze”.
Le manca il Cagliari? “Tantissimo, ma è gestito bene con diversi elementi giovani e sardi. Ora hanno preso un nuovo giocatore come Andrea Cossu”, ironizza, “nel calcio se perdi deve essere perché l’altro è più bravo di te. Juventus e Milan all’inizio per il Cagliari? Ho incontrato l’altro giorno Borriello, gli ho detto che le vinceranno entrambe perché queste grandi squadre è meglio sfidarle all’inizio”.
“Ditemi quanti giocatori che il Cagliari di Giulini, in tre anni, ha acquistato e venduto. Ormai sta vendendo tutto, manca solo Barella che è uno degli ultimi che avevo anche io, non ha un settore giovanile, cosa che avevo io con Matteoli e grazie a scelte di Gianfranco che inizialmente nemmeno condividevo. Portare ragazzi da Brescia, a 15-16 anni, in Sardegna è sbagliato. Il settore giovanile del Cagliari non ha più sardi, non ho ben capito cosa stiano facendo – si chiede polemico sulla gestione attuale di Giulini e soci – Io ho un caratteraccio, però se trovo un imbecille glielo dico, se a me si presenta una persona che non è capace non ci voglio avere nulla a che fare. E a 61 anni non cambierò, preferisco andare in prigione che baciare le mani a chi non voglio. I sardi imparino a farsi rispettare, hanno perso la loro dignità, io volevo dare loro un grande Cagliari, è stato distrutto e non tornerò più, non investirò più soldi nella mia terra e tornerò poco”.