Quante volte leggendo un romanzo o guardando un film ci siamo innamorati di un protagonista e abbiamo sperato nel finale migliore possibile? Spesso gli sceneggiatori sono crudeli e amano spezzare i sogni per dare una conclusione magari più logica o scontata alla propria creazione, proprio come accaduto al Tour de France 2017.
Il quarto sigillo di Chris Froome era ampiamente pronosticato: completo, esperto, punta di diamante di una squadra perfetta con almeno 2-3 elementi in grado di lottare per la vittoria finale. La meticolosa verve del keniano bianco, sempre chino a verificare i watt, non entusiasma come gli avversari più alla vecchia maniera, che si affidano alle sensazioni per sapere quando alzarsi sui pedali e attaccare. Ecco che il calcolatore lascia la scena a Fabio Aru, che ha sperato e ha fatto sognare la sua Terra per oltre due settimane prima di una fatale bronchite che ne ha tarpato le ali. “Se sto bene io attacco” una delle dichiarazioni da ricordare in questi 21 giorni, che ha messo paura a qualche big che non pensavano certo di trovarsi tra i piedi un avversario che soltanto pochi mesi prima aveva un ginocchio gonfio come un pallone che gli impediva di pedalare. Tre giorni in maglia a pois, l’attacco e la vittoria de La Planche des Belles Filles, l’accelerazione di Peyragudes che gli ha regalato due giornate in maglia gialla (unico non Sky a farlo in questo 2017) sono un bilancio prestigioso, inimmaginabile forse, alla vigilia per un corridore alla sua seconda Grande Boucle.
Incubo terza settimana: Si dice che la terza settimana sia una corsa a sé nei grandi giri, vuoi per la stanchezza accumulata vuoi per quel filo di rilassatezza che ti avvicina al traguardo finale, se poi ci si mette anche un problemino di salute non puoi che non essere quello dei primi giorni. Un problema ai bronchi, situazione già verificata alla Tirreno-Adriatico del 2017, ha fatto soffrire il sardo dell’Astana già sulle prime rampe delle Alpi. Sparita la bella espressione in faccia sui Pirenei, sostituita da un volto affaticato con la bocca spalancata, Aru non ha mai mollato definitivamente il colpo cercando di rimontare con orgoglio da combattente nato quale è. Soltanto 1′ perso là al confine tra Francia e Italia dove molti sarebbero crollati, forse più infastidito di aver deluso i suoi tifosi accorsi in massa sulle rampe di Galibier e Izoard che per il risultato. È comunque un quinto posto finale da ricordare e da celebrare quello del Cavaliere dei Quattro Mori, che guarda con fiducia al prossimo anno impaziente di tornare alla corsa transalpina.
Il futuro: Ancora da definire il futuro prossimo di Fabio Aru. Potrebbe esserci la Vuelta che parte il 17 agosto al fianco della stellina colombiana Miguel Angel Lopez o una piena concentrazione di energie verso il finale di stagione italiano con le classiche Milano-Torino o Il Lombardia. Ma più che alle prossime corse, l’attenzione di tifosi e addetti ai lavori è rivolta al ciclomercato. Il rapporto con l’Astana non sembra più idilliaco per alcune situazioni in corsa e alcune dichiarazioni di Vinokourov e Martinelli, ma non è comunque da escludere un rinnovo con il team kazako che l’ha fatto passare tra i professionisti. La via più percorribile rimane però il cambio di casacca con la UAE Team Emirates in pole position. Il DS Beppe Saronni vuole puntare sul villacidrese come uomo di classifica per i grandi giri: c’è anche l’appoggio della Colnago che vuole riportare un italiano in sella a una bici di casa sul tetto di un grande giro, cosa che non accade dal Giro d’Italia 2002 con Paolo Savoldelli. Resta alla finestra la TREK-Segafredo con il DS Guercilena e lo sponsor italiano che vorrebbero Fabio Aru lottare con i propri colori. Tempo di riflessione e riposo per l’uomo mercato del ciclismo mondiale, che comunque non smetterà di pensare al pallino fisso di quel podio giallo dei Campi Elisi.
Matteo Porcu