Da uno scompenso all’altro

La nostra analisi dopo la trasferta del Cagliari a Roma

Massimo Rastelli, reduce dalla sconfitta per 1-0 con la Roma

Massimo Rastelli, reduce dalla sconfitta per 1-0 con la Roma

La 21a giornata di Serie A dice che il Cagliari perde ancora in trasferta contro una big: seppur con un solo gol di scarto, i rossoblù replicano grossomodo la prestazione offerta in quel di San Siro, con qualche bagliore in meno. Persiste il vantaggio di ben 16 punti sulla zona calda della classifica e, salvo cataclismi imponderabili, i ragazzi di Rastelli veleggeranno verso la prima salvezza dell’era Giulini. Ma quali sono i segnali arrivati dall’Olimpico?




IL FORTINO SARDO – Il Cagliari è sceso in campo proponendo nuovamente il catenaccio, atteggiamento che sembra essere diventato una costante delle trasferte cagliaritane. Tanta densità a ridosso dell’area: i benefici derivati da questa mossa sono tangibili, non v’è infatti più traccia delle goleade maturate nel girone d’andata. Prendendo però in esame le partite con Roma e Milan, bisogna considerare l’infausta giornata vissuta dalle due compagini, le quali hanno probabilmente sottovalutato l’impegno coi sardi, finendo poi per incartarsi da sole.

IMBARCATE EVITATE MA… – La novità tattica ha evitato le scoppole alle quali i rossoblù avevano abituato, portando di conseguenza molte polemiche in meno. Se questo atteggiamento fosse stato adottato fin dal girone d’andata, perdendo meno o con risultati più calmierati, il clima intorno a questa squadra sarebbe stato più leggero e si sarebbero evitati tanti nervosismi e problemi ammessi dallo stesso Rastelli pre e post Roma. Il rovescio della medaglia di questa interpretazione risiede nel fatto che risulta sostanzialmente impossibile attaccare con concreta pericolosità. Se col Milan si erano presentate due buone opportunità, con la Roma non si è mai tirato in porta. Ok la difesa dunque, ma vengono tagliate le gambe alla miglior arma cagliaritana, ovvero l’attacco.




DISPENDIO DI ENERGIE – Il Cagliari può vantare nel reparto offensivo elementi di ottimo livello come Borriello, Sau, Farias e Joao Pedro. Con questo modulo, ne vengono usati a malapena due. Il centravanti campano è costretto a giocare da unica punta, spesso isolato dal resto della squadra. Il secondo attaccante è invece sacrificato in maniera esagerata sull’esterno oppure in mezzo al campo, volto a schermare il costruttore di gioco avversario, con poco spazio per scorribande e invenzioni. Ecco dunque che troviamo il Sau o Farias di turno relegato a compiere un lavoro non di propria competenza e che, tra l’altro, non riesce a svolgere al meglio. Ciò comporta un grande dispendio di energie psicofisiche, il quale induce a peccare di lucidità nei momenti decisivi. Questa non è una squadra costruita per chiudersi e ripartire, non è nel proprio DNA. Dopo essersi ben compattata precludendo ogni spazio agli avversari, non appena gamba ed energie – terminate anzitempo con la Roma – vengono meno, non si ha poi la capacità di costruire e imbastire un concreto contropiede. Non fa parte dei circuiti di questo organico la ripartenza ordinata, volta ad essere un efficace sistema in ottica di offesa.




PRIMO: NON PRENDERLE! PERCHÉ? – Dunque, quando non si incassa una rete si può strappare lo 0-0, ma con formazioni come Roma e Milan il gol rischi sempre di prenderlo, eventualità puntualmente verificatasi in entrambi i match. Invece, qualora si dovesse subito andare in svantaggio – come accaduto in altre circostanze – vien da chiedersi se il Cagliari sia capace poi di tornare al suo classico schieramento per provare a riaprire la gara. Prima del giro di boa, tra i molteplici errori degli isolani, uno dei più grossolani andava ricercato nello schierarsi col 4-3-1-2 affidandosi esclusivamente alle giocate dei singoli. La scelta portava sistematicamente alla sconfitta, talvolta piuttosto sonora. Il 4-3-3 visto col Torino è stato foriero di ulteriori disastri. Con il sistema attuale, la difesa è apparentemente sistemata ma risulta non pervenuta tutta la fase offensiva. Visto che la situazione di classifica permette di osare, forse sarebbe meglio mettere in campo anche coraggio e audacia – che non si comprano sul mercato – allontanandosi un po’ dall’adagio di bearzottiana memoria.

Mattia Marzeddu

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