Larrivey: “Tifo Cagliari! Lopez uno di famiglia, Sau un fenomeno”

Intervista esclusiva con “El Bati”: “Che anni quelli in Sardegna!”

Joaquin Larrivey, soprattnominato"El Bati" per la somiglianza con Batistuta

Joaquin Larrivey, soprannominato “El Bati” per la somiglianza con Batistuta

Un soprannome che, probabilmente, è stato più una spada di Damocle che una fortuna. D’altronde, si sa, nei paesi latini il culto del nomignolo affibbiato ai calciatori è una tradizione che risale agli albori del fùtbol, a partire dal Gran mariscal José Nasazzi o la Maravilla negra José Leandro Andrade, entrambi campioni del mondo nel 1930 con la Celeste. Epiteti che, occorre precisare, non sempre nascono da qualità tecniche o carismatiche, come nei casi appena citati. Spesso basta una somiglianza fisica: si pensi all’analogia Francescoli Enzo-Milito Diego, con il secondo soprannominato Principe proprio per i tratti somatici comuni al genio di Montevideo, ammirato dal vivo anche da chi scrive.




Ecco, anche nel caso di Joaquìn Larrivey, croce e delizia del tifo cagliaritano dal 2007 al 2013 a fasi alterne, il soprannome el Bati nasce dalla somiglianza fisica con l’originale Gabriel Omar Batistuta, senza dubbio il miglior centravanti puro mai espresso dalla scuola argentina.

Due carriere obiettivamente imparagonabili, eppure il fresco trentaduenne (ad agosto) di Buenos Aires, raggiunta ormai la piena maturità calcistica, potrà comunque raccontare ai nipoti alcune belle esperienze vissute sul terreno di gioco.

Come quella volta che si portò via il pallone usato in un turno serale in quel di Napoli, grazie alla tripletta messa a segno contro i padroni di casa. Tre reti che servirono a rendere meno amaro un passivo storico – 6-3, fatale a Davide Ballardini – ma che gli furono utili per l’inserimento nella lista dei triplettisti della Serie A. O la popolarità data dall’essere intervenuto in difesa di un compagno di squadra, malmenato durante un’amichevole estiva contro i corsi del Bastia: un gesto che gli costò una giornata di squalifica, ma molto apprezzato da compagni e tifoseria.

Oggi Joaquìn Larrivey è la punta di diamante del Baniyas, club degli Emirati Arabi Uniti che l’ha acquistato dal Celta Vigo dopo due ottime stagioni nella Liga spagnola dove, tra i galiziani e il Rayo Vallecano, ha realizzato 24 reti in 73 presenze. E una curiosità supplementare: in due anni ha fatto segnare la stessa media gol per minuti giocati (un gol ogni 201’, fonte Transfermarkt).

Oltre 100 presenze con la maglia del Cagliari, la squadra in cui hai giocato di più fuori dall’Argentina. Quanto ti mancano quei colori?
Mi mancano tantissimo il Cagliari e il calcio italiano, ma soprattutto la città, il mare e, più di tutto, i tanti amici lasciati là. Soprattutto Diego Lopez e la sua famiglia: devo ringraziarli, negli anni vissuti a Cagliari loro sono stati la mia famiglia.

Segui ancora il Cagliari e il suo cammino in Serie A?
Ovviamente lo seguo, l’ho seguito anche in Serie B, come oggi. Stanno confermando che anche nella massima serie che possono contare su grandi talenti. Sono molto contento soprattutto per Sau, che è diventato la bandiera dei rossoblù. Marco è un grande giocatore e un ragazzo splendido.




C’è stato un momento in cui, durante questi anni tra Messico (Atlante), Spagna (Rayo Vallecano e Celta Vigo) ed Emirati Arabi avresti voluto o potuto rientrare in Sardegna?
No, ho sempre guardato in avanti e ho pensato che la storia come giocatore del Cagliari fosse finita. Però da lì è iniziata quella come tifoso.

Il biennio in Spagna è, probabilmente, il livello più alto da te raggiunto in carriera per continuità di rendimento. Non sono in tanti a poter dire “Ho segnato al Camp Nou il gol decisivo”, dando un dispiacere al Barcellona del tuo connazionale Leo Messi. Che emozioni ti dà ricordare quei momenti?
Quella rete è stata molto importante per la nostra squadra (il Celta Vigo, ndr) perché non aveva mai vinto nella sua storia al Camp Nou. Ricordo bene il grande silenzio dello stadio subito dopo il gol, tanto che ho pensato che l’arbitro avesse fischiato qualcosa. Invece, per fortuna, con grande impegno siamo riusciti a mantenere quel risultato fino alla fine.

Celta Vigo, Rayo Vallecano e poi il Baniyas. Perché lasciare la Liga, il top del calcio europeo, per i cosiddetti “petrodollari”? Un’offerta cui era impossibile dire no?
C’è stata una buona offerta sia per me che per il club. E mi sono sempre piaciute le nuove sfide calcistiche, così come conoscere altri paesi. A oggi sono molto contento dalla scelta di vita che ho fatto.

Capitolo Nazionale. C’è stato un momento in cui hai pensato di poter entrare nel gruppo dell’Albiceleste? Tanti attaccanti fortissimi, ma forse pochi con le tue caratteristiche tecniche, dopo il ritiro di Martin Palermo.
No, sono ben consapevole del fatto che, essendo argentino, sia difficile raggiungere quel traguardo. Penso che ormai da molti anni abbiamo i migliori attaccanti al mondo a livello di nazionale, quindi non ho mai pensato di poter essere convocato. Ovviamente, però, sono il primo tifoso della Selección.

Torniamo un attimo al Cagliari. Quali sono stati il momento più bello e quello più brutto in maglia rossoblù?
Il momento migliore è stato durante il primo anno in rossoblù (2007-08, l’anno del miracolo targato Ballardini, ndr), quando siamo riusciti a salvare il Cagliari con un grandissimo girone di ritorno. Quello più brutto senza dubbio è stato quello di andata, dove tutto andava storto per tutti. Soprattutto per me, che ero appena arrivato in Italia, non parlavo ancora la lingua ed ero lontano da casa mia.

In chiusura. Come vedi il tuo futuro, calcistico e non? Hai maturato il desiderio di tornare a giocare in Argentina? Oppure, a carriera finita potresti fare un duo musicale insieme a Daniel Osvaldo, che pare aver mollato il calcio giocato per dedicarsi al rock…
Per ora sono molto felice qui ad Abu Dhabi, ma si sa: nel mondo del calcio uno non sa mai dove potrà essere tra sei mesi. Sono aperto a tutto sinceramente, e non ho paura di quello che può accadere. Dopo il calcio ancora non lo so, ma la musica mi piace solo per ascoltarla e magari per suonare a casa, ma non di più.

Francesco Aresu

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