Sardegna indipendente, cosa vorrebbe dire in ottica olimpica?
Ci siamo. Torneo di calcio a parte, iniziato due giorni fa, alle ore 19.15 locali (00.15 in Italia), si aprirà la 31esima edizione dei Giochi Olimpici, a Rio de Janeiro.
Per la prima volta nella storia, la cerimonia d’apertura non si svolgerà nello stesso stadio in cui verranno disputati gli eventi di atletica leggera. Infatti, teatro dello spettacolo più seguito al mondo sarà il glorioso Maracanà, mentre il cosiddetto “stadio Olimpico” sarà l’Estádio Olímpico João Havelange.
Uno dei momenti più toccanti e significativi della cerimonia è sicuramente la Parade of Nations, ovvero il corteo delle delegazioni di ogni singolo stato partecipante. Le nazioni partecipanti sfilano in rigoroso ordine alfabetico della lingua del paese ospitante (in questo caso il portoghese), mischiando perfettamente così le superpotenze mondiali come USA, Russia, Cina, Australia – capaci di portare un numero di atleti a tre cifre – e le piccole, piccolissime nazioni rappresentanti atolli oceanici o microstati europei, in grado a volte di presentare anche un solo atleta, ma vogliosi di apparire in puro spirito olimpico.
È il caso di Tuvalu, di Fiji, ma anche di paesi più grandi ed economicamente deboli come Afghanistan e Malawi, che porteranno un atleta ciascuno.
Lungi dal fare un trattato di geopolitica sportiva, ci siamo legittimamente chiesti: e se la Sardegna fosse indipendente, quanti atleti sarebbe capace di far sfilare?
La realtà per ora dice che a Rio solamente 6 atleti difenderanno i Quattro Mori, vestendo ovviamente i colori azzurri dell’Italia. Il“Cavaliere” Fabio Aru da Villacidro nella prova in linea di ciclismo su strada maschile, il boxeur quartese Manuel Cappai nei pesi mosca leggeri, la sincronette Francesca Deidda di Cagliari, il tiratore di Ozieri Luigi Lodde nello skeet, il canottiere oristanese Stefano Oppo nel “4 senza” e la pallavolista di Narbolia Alessia Orro.
Sono un numero accettabile o la Sardegna potrebbe fare di più? Il presidente del CONI Sardegna Gianfranco Fara aveva dichiarato nei giorni scorsi che “in una terra di un milione e mezzo di abitanti sono una bella soddisfazione e la dimostrazione che in Sardegna il movimento sportivo è vivo”. Per analizzare la validità di tale dichiarazione, abbiamo provato a fare un confronto con altre nazioni affiliate al CIO, e quindi abilitate a partecipare al più importante evento sportivo del mondo per valutare lo stato di salute del sistema sportivo sardo.
Certo, i criteri potrebbero essere tanti. Di sicuro conta il numero degli abitanti, preso appunto come principale riferimento anche dai vertici regionali. La Sardegna ha un numero di abitanti che supera il milione e 600 mila, pertanto andiamo a vedere quanti atleti portano i Paesi con un numero simile (indicato tra parentesi). In Africa Lesotho (1.9 mln), Gambia (1.9 mln), Gabon (1.8 mln), Guinea-Bissau (1.5 mln), Mauritius (1.2 mln) e Guinea Equatoriale (1.2 mln) portano rispettivamente 7, 3, 4, 3, 9 e 2 atleti.
Come si evince dai numeri sotto la decina, è chiaro che a inficiare maggiormente sia la situazione economica generale del Continente Nero. Per vedere numeri leggermente più corposi bisogna spostarsi nel Vicino Oriente con il Bahrein (25 atleti) e nei Caraibi, con i 26 atleti di Trinidad & Tobago. Ad accomunare questi due lontani paesi non sono solo il numero di abitanti (1.4 milioni), ma anche lo sport dominante: la quasi totalità di questi partecipanti proviene infatti dall’atletica. Se però i caraibici hanno una lunga tradizione per quanto concerne gli sprinter, garantendosi cosi una posizione di prestigio nel panorama a cinque cerchi, il piccolo stato dell’emiro Al Khalifa ha naturalizzato decine di mezzofondisti etiopi e kenioti a suon di petrodollari, rimanendo quasi assente nelle altre discipline.
Per ragioni quindi economiche e sociali è più corretto confrontare la Sardegna con altri paesi europei dai numeri simili. Le repubbliche baltiche Lettonia (1.9 milioni di abitanti) ed Estonia (1.3 milioni) portano rispettivamente 34 e 45 atleti, mentre la vicina Slovenia (2 milioni) addirittura 61 atleti ben distribuiti in 12 discipline, sintomo di ottima salute del movimento sportivo. Se infine vogliamo tralasciare il numero di abitanti in senso stretto, raffrontando la Sardegna con un’isola nel Mediterraneo dalla situazione economica simile, possiamo notare come Cipro (meno di 900 mila abitanti, quasi la metà dei sardi) porti ben 17 atleti.
Ripetiamo, stiamo solo “fantasticando”, ma possiamo dedurre come 6 atleti (diventerebbero 4, perché Oppo e Orro non gareggiano individualmente) risulterebbero pochi, contraddicendo le parole del presidente Fara, pur rimanendo ad un discorso meramente teorico e virtuale.
Le carte olimpiche infatti dipendono anche dagli slot massimi dedicati a ogni comitato olimpico, per cui oggi i sardi sono preceduti da altri (più meritevoli) atleti italiani. Da indipendenti inoltre si potrebbe mirare, anche da piccolo stato, ad una qualificazione in uno sport di squadra. Si pensi al Montenegro, il quale con soli 600 mila abitanti punta tutto su pallamano e soprattutto pallanuoto (sport nazionale), portando a Rio ben 34 atleti.
La Sardegna potrebbe puntare sull’hockey su prato, quasi inesistente in Italia ma che vede la Sardegna in prima fila con l’Amsicora società leader (bi-campione d’Italia uscente al maschile e al femminile) e ben 5 squadre isolane su 12 nell’ultima Serie A1 maschile. In seconda battuta va detto che nei 1,6 milioni di abitanti dell’Isola non sono conteggiati tutti gli emigrati sardi o i sardi d’origine che in ottica puramente sportiva potrebbero essere “naturalizzati” (Filippo Tortu vi dice qualcosa?).
Aldilà di tutto ciò c’è un aspetto positivo: rispetto all’Olimpiade di Londra nel 2012 è stato incrementato di 4 unità il numero di partecipanti sardi, in quanto in Gran Bretagna erano presenti solo Cappai e Lodde. L’aspetto negativo, e forse più importante in un confronto meno virtuale, è che i “cugini” siciliani a Rio ne porteranno ben 17, guidati dallo Squalo di Messina Vincenzo Nibali, guarda caso capitano del nostro Fabio Aru. Questo dimostra che comunque, indipendenza o no, c’è ancora tanto da fare a livello regionale.
Non ci resta che sperare negli atleti sardi all’interno del Team Italia, augurandogli e augurandoci che, almeno virtualmente, l’inno sardo risuoni nelle notti carioca.
Fabio Frongia