Cagliari, può bastare?
Vincere senza badare all’estetica o mugugnare per una qualità del gioco che sembra latitare? Attorno a questo interrogativo si avvita da qualche settimana l’opinione pubblica rossoblù, spaccata tra chi esalta la forza cinica del Cagliari e chi si preoccupa in vista della prossima stagione.
Insomma, è sufficiente andare in Serie A in carrozza come da previsioni e imposizioni estive? O sarebbe (era) lecito chiedere di meglio a livello estetico, inteso come impronta tattica, carisma, capacità di far vedere che la realtà Cagliari sia in grado di ambire a qualcosa di più? Ad oggi, i rossoblù appaiono come un gruppo fatto di individualità che – anche grazie alla modestissima Serie B in cui milita – può permettersi di aspettare la partita sonnecchiando, accendendo e spegnendo l’interruttore a piacimento, senza pagare dazio. Il mese nero post Cagliari-Pescara è passato indenne in termini di classifica, le due vittorie esterne contro due pericolanti hanno cesellato il primato, ma dall’inizio del girone di ritorno ben pochi si sono entusiasmati.
Il Cagliari ha perso 7 partite in tutto (4 contro le tre odierne inseguitrici: Crotone, Cesena, Novara), lasciando a desiderare in svariate occasioni da “match clou”. In due periodi ben definiti della stagione i sardi hanno convinto e dato prova di ordine, compattezza e grande solidità: dalla 9° alla 14° giornata (16 punti) e dalla 17° alla 21° (13 punti), solo narcisismo ed errori arbitrali in quel di Perugia e Livorno impedirono di esultare.
Le altre porzioni di campionato hanno mostrato luci e ombre, non in termini numerici (altrimenti non si sarebbe arrivati a sognare i 100 punti) ma per quanto concerne la qualità del gioco: più che un concetto estetico fine a sé stesso, questo va inteso come l’impressione di squadra granitica, organizzata con e senza la palla, in grado di variare atteggiamento e temi senza cambiare risultato. Questo si è visto poco, lasciando al talento smisurato (per la categoria) dei molti singoli il compito di trainare.
Avere in rosa giocatori di alto livello non è una colpa, anzi un merito della società per avere condotto un calciomercato senza sbavature in estate come a gennaio. Da lì, con la tranquillità progressiva avuta dai risultati, sarebbe stato auspicabile poter vedere qualcosa di meglio. Invece, dopo l’abbuffata (di punti) sotto Natale, la squadra si è fermata. Fortunatamente non in classifica, ma si è andati peggiorando fino alla crisi, come detto, indolore.
Nel 2016, le vittorie di misura contro Ternana e Virtus Entella parevano frutto di difese chiuse e catenaccio, il successo di Avellino difficoltoso (in superiorità numerica per un’ora), quello di Latina gemma isolata, quello sul Pescara sapeva di festa ma aprì ai dubbi: quanto di buono c’è in chiave Serie A? Nel frattempo, Novara e Perugia non erano più timorose e maramaldeggiavano al Sant’Elia, Trapani e Cesena mettevano alla frusta una squadra svuotata e in totale confusione.
Difficile esprimersi oggi, in un calcio che cambia rapidamente e dove ogni discorso strada facendo va preso (e fatto) con le pinze. Intanto, però, il Cagliari ci pensa: rinnovi siglati e altri in arrivo, discorsi di mercato sotto traccia (“Bastano due innesti”, diceva Giulini venerdì scorso), fiducia piena a Rastelli, che merita di giocarsi la sua (prima) chance nella massima serie. Dove sarà lecito chiedere (e servirà) qualcosa di diverso.
Fabio Frongia
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