Colombatto, un germoglio da coltivare
Il mondo del calcio, si sa, è un microcosmo infarcito di luoghi comuni, fatto di espressioni trite e ritrite che mutano alla prima folata di vento. Quante volte, nel recente passato, abbiamo letto e sentito parlare di grandi promesse e campioncini, gemme da sgrezzare e talenti cristallini. Il tutto condito dalla speranza di vedere quella giovane promessa nelle vesti di leader trascinante, capopopolo calcistico, in un futuro neanche troppo lontano. Pochi giocatori sono stati in grado, nell’ultima decade, di incendiare l’immaginario dei tifosi rossoblu, in un lasso di tempo così breve, come Santiago Colombatto.
Sono state sufficienti una manciata di partite con la Primavera per conquistare tifosi e addetti ai lavori, ammaliati da quel suo modo di stare in campo misto ad una semplicità disarmante, un tempo di gioco avanti rispetto ai suoi coetanei. Il giovane argentino è diventato, ben presto, il burattinaio della squadra di Max Canzi, leader tecnico ed emotivo di un gruppo che ha sorpreso tutti, issandosi in vetta alla classifica del proprio girone. Un processo di maturazione, in termini di comprensione del gioco, che si è accompagnato pedissequamente alla crescita di quella Primavera che andava al ritmo del suo battito cardiaco. E lo stesso Massimo Rastelli, sedotto da quella genuinità calcistica, non si è fatto pregare per aggregarlo agli allenamenti della prima squadra (una sorta di apprendistato) per poi catapultarlo nell’XI titolare nella sfida di Coppa Italia in casa del Sassuolo. Un esame di maturità a tutti gli effetti, con gli occhi puntati addosso di tutto il popolo rossoblu, interessato più al suo battesimo con i “grandi” che all’esito della partita. E Colombatto, radar nei piedi e garra nelle vene, quell’esame l’ha superato dimostrando che lì in mezzo può starci anche lui, senza alcun timore, mettendo in mostra una solidità mentale insospettabile per un diciottenne. Una prova che ha dato quelle conferme che in via Mameli tutti auspicavano e che ha accelerato il suo “trasloco” dalla Primavera, risvegliatasi più asfittica senza il suo cervello in campo.
Il suo debutto in campionato è stato accompagnato da un countdown che tanti tifosi attendevano in un mix di curiosità e speranza. Spesso attesa e poi rinviata, la prima maglia da titolare è arrivata a Latina, in un tiepido pomeriggio di febbraio. Un’ora di gioco fatta di raziocinio e personalità, in linea con il personaggio, decisamente incline a prendersi delle responsabilità anche nei momenti di massima pressione. Una buona dose di carattere, perciò, mostrata anche sette giorni dopo contro il Pescara nonostante l’ingresso a freddo in un momento in cui il Cagliari navigava controvento, proprio come al Manuzzi, nell’ultimo turno. E nonostante a Cesena sia stato più impreciso rispetto agli standard, travolto anche lui dalla marea romagnola, è emersa la caparbietà del giocatore, il più lucido dell’intero reparto di centrocampo a dispetto dell’età. Tre ammonizioni in altrettante partite (che gli sono già valse i primi accostamenti a Daniele Conti) seppur diverse tra loro: ingiusta la prima, frutto della foga la seconda e tatticamente intelligente l’ultima. La carta d’identità, però, parla a suo a favore e il tempo per smussare quell’angolo non manca di certo.
Già, la carta d’identità. In queste circostanze – in ossequio alle espressioni trite e ritrite – si è soliti ripetere frasi come “non carichiamolo eccessivamente di responsabilità“, espressione che spesso nasconde la paura di scommettere su un giocatore. Non può essere questo il caso. Acquisendo Colombatto, infatti, la società rossoblu ha ingaggiato un giocatore che respira calcio con una maturità insolita per la sua età. Non certamente una scommessa dunque, bensì un germoglio tecnico di quel progetto di successo più volte evocato dal presidente Giulini. Sarà compito del Cagliari coltivarlo nel migliore dei modi.
Stefano Sulis