Sacchetti: “Dinamo, non sorridi più. Scudetto a Milano, quei due abbracci a Jack e Travis…”

Meo Sacchetti durante la sua ultima panchina al PalaSerradimigni
Meo Sacchetti non ha dimenticato la Dinamo Sassari, e non potrebbe essere altrimenti. L’ha vista perdere malamente la Coppa Italia da lui (e i suoi ex ragazzi) conquistata per due volte, la osserva come fa con tutto il movimento, in attesa di tornare presto ad allenare. “Con Milano si era creata una strana rivalità – dice a La Repubblica nei giorni del trionfo meneghino, lo scorso weekend – Loro erano abituati a giocarsela con altre realtà, penso a Siena, Varese, Roma, non certo con Sassari. Giocare al Forum, in un palazzo così grande e con tanta gente, è sempre stato piacevole”.
In tanti, viste le magre biancoblù, lo rimpiangono ancora, dopo tre mesi dall’esonero di Stefano Sardara. “Ormai ci ho messo una pietra sopra – continua – la vita dà e toglie. Restano i tanti ricordi, quelli nessuno potrà cancellarli. Probabilmente la mia storia con la Dinamo doveva finire prima. C’erano stati degli attriti con il presidente Sardara, problemi che la vittoria dello scudetto ha fatto passare in secondo piano. Avrei potuto lasciare, non me la sono sentita anche per rispetto nei confronti della mia carriera”.
Eppure Calvani non ha cambiato la rotta: “Non mi va di parlare di risultati, non sarebbe giusto nei confronti di chi ha preso il mio posto. Purtroppo ci sono anni in cui le cose vanno tutte per il verso giusto e altri in cui non trovi mai la strada. L’unica cosa che mi dispiace è vedere una squadra che sorride poco”.
Nessun dubbio sui due momenti da ricordare della lunga storia in Dinamo: “Sono due. La prima è l’abbraccio con Devecchi a Bologna dopo gara 3 dei quarti play off del 2012 – racconta il coach di Altamura, varesino e sardo d’adozione sportiva – una vittoria che ci portò per la prima volta in semifinale. Anche la seconda è un abbraccio, stavolta con Travis Diener. Giocavamo i play off contro Siena e avevamo avuto uno screzio. Io lo avevo tolto dal campo e lui era talmente furioso che mi aveva detto che non avrebbe più giocato per me. Prima di gara 2 è venuto a chiedermi scusa, me lo sono abbracciato forte come si fa con un figlio a cui alla fine perdoni tutto”.

Meo Sacchetti tra Federico Pasquini e Giacomo Devecchi
Nella scorsa stagione i trionfi hanno cancellato anche la convinzione unanime: col run and gun non si vince nulla. E invece… “E’ stata una gran bella soddisfazione, perché vincere una volta può capitare, ma quando in bacheca metti due coppe Italia, una supercoppa e uno scudetto forse non è solo fortuna. Ci sarà sempre qualcuno che avrà da ridire, a me bastano gli attestati di stima dei tifosi, non solo di Sassari, per essere contento”.
In questi tre mesi Sacchetti ha vissuto pienamente Alghero, dove da anni ha messo radici: “Ho preso casa ad Alghero, ho il mio orto, quest’anno ho fatto dell’ottimo olio. Nei fine settimana torno a Varese, ho un figlio che gioca a Tradate in serie C. In Sardegna sto benissimo, sono tanti quelli che scoprono questa terra e se ne innamorano. Con i sardi è difficile avere subito un’empatia, prima di fidarsi di te devono scrutarti bene”. Cosa fa un allenatore con tanto tempo libero? “Io dopo sessant’anni sono tornato nella città dove sono nato, Altamura. Sono andato a trovare degli amici a Bologna, sono stato a Torino, ovviamente ho visto partite. Quando mia moglie avrà dato la tesi voglio andare in Inghilterra a vedere rugby e calcio. Poi tornerò in panchina, mi manca l’adrenalina della partita. Al momento offerte vere non ne sono arrivate, vediamo cosa salta fuori. Un’esperienza all’estero? Non mi dispiacerebbe”.
Ci sono state anche molte discussioni sull’uso degli italiani, e la Dinamo è entrata con due piedi sul tam tam. “Penso che i bravi giocatori, regole o no, vengono fuori lo stesso. Vorrei, e lo dico da genitore con un figlio che gioca, che gli italiani avessero più rabbia e più fame. E’ chiaro, non è una situazione facile, ma sta a loro dimostrare di meritare minuti. Faccio l’esempio di Pascolo. A livello di immagine non conquistava nessuno, è stata brava Trento a credere in lui ma è stato bravo soprattutto lui a crescere negli anni fino a dimostrare di meritare la serie A. Da tempo non siamo più la miglior lega europea, questo è chiaro. C’è qualche realtà interessante come Trento, Reggio Emilia e Cremona. Scontiamo un momento economico non facile, ma è un discorso che vale anche per gli altri paesi. Forse bisogna lavorare meglio con le risorse che abbiamo, fare poche cose ma farle bene. E’ inutile piangersi addosso, meglio rimboccarsi le maniche e lavorare. Il campionato, davvero, stavolta può perderlo solo Milano. Erano forti già prima, si sono rinforzati ulteriormente. E’ vero che nel basket l’imponderabile è dietro l’angolo, io ne so qualcosa, ma non vedo chi possa fermare l’Olimpia”.
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