Marco Sau e il Cagliari: un affare complesso. C’è ancora posto per “Pattolino”?

Marco Sau
Caratteristiche come corsa, tecnica, velocità, facilità di dribbling e fiuto del gol a Marco Sau non sono mai mancate. Lo hanno sempre saputo tutti i suoi allenatori: da Madonna, che lo allenò nell’Albinoleffe, definendolo poi “uno che aveva tutto per arrivare ad alti livelli“, fino a Rastelli. Lo sa Capozucca, attuale DS del Cagliari, che lo ammira, lo stima e lo ritiene “uno che quando è in forma non ha nulla da invidiare al miglior Giuseppe Rossi“. Parole, che nel calcio servono a poco se non corroborate dai fatti. Quando i giovani studenti dei college inglesi inventarono il “Football” posero una prima, fondamentale e immutabile regola: per vincere bisogna fare gol, se sei un attaccante la realizzazione diventa vitale, per la squadra e per te stesso.
Ma cosa è il gol? “Beh, il gol è quella cosa che ti dà carica, ti dà morale. Insomma, il gol è quella cosa che ti fa passare bene la settimana“, diceva Gigi Riva in un’intervista del 1969. E Gigi a gonfiare la rete era piuttosto bravo, quasi ossessionato, come tutti gli attaccanti. I principali attori dello sport più importante del mondo. Gli attaccanti, quelli che il sabato notte non dormono sognando ad occhi aperti un loro gol nella partita della domenica, magari all’ultimo secondo. Che giochino in un paese di duemila anime in Sardegna o nel Real Madrid, hanno un unico e martellante pensiero: il gol.
Marco Sau sta forse arrivando al crocevia più importante della sua carriera, dopo due anni di delusioni ed infortuni, culminati con la retrocessione in Serie B al termine della stagione in cui si attendeva la definiva esplosione col mentore boemo. Una discesa, quella dell’ultimo Cagliari di Zeman, Zola e Festa, cominciata il 9 novembre 2014, quando “Pattolino” abbandonò il campo per infortunio, in quel famoso Cagliari-Genoa ricordato da tutti per il clamoroso errore sotto porta di Samuele Longo. Zeman con quell’infortunio perse la gemma della sua squadra, colui il quale aveva dato il via alle imprese di San Siro e Empoli. Quella che sembrava (e doveva) essere l’annata della sua definitiva consacrazione si è trasformata in un malinconico romanzo dai risvolti tristi e cupi, terminato con le lacrime di fronte alla Curva Nord nell’ultima partita.
Dopo le magre iniziali (5 marcature in 51 presenze), fu Zeman, da sempre maestro di tanti numeri 9 del calcio italiano, a fare del tonarese un bomber implacabile, capace di abbinare rapidità e concretezza, con la precisione dei suoi tiri a giro a sfornare gemme tuttora memorabili.
Autostima e solidità fisica, due fondamentali per analizzare e (provare a) capire il Sau calciatore. Non l’uomo, riservato, schivo e poco incline a parlare di sé. Uno di quelli che non sai mai cosa stia pensando, avvolto da un’aurea misteriosa quasi irritante, come tutte le cose fuori dalla nostra interpretazione. Il suo linguaggio del corpo poco convincente, il suo sguardo quasi assente e quel sorriso amaro sempre sul volto, hanno portato tanti tifosi a pensare che il suo attaccamento alla maglia non fosse adeguato e, di conseguenza, anche il suo impegno.

Marco Sau in allenamento con la Nazionale
Tre campionati fantastici tra Foggia, Juve Stabia e la prima stagione al Cagliari, 56 gol in 105 presenze, circa uno ogni due partite, culminati con la prima convocazione in Nazionale. Poi i due anni di purgatorio tra infortuni e incomprensioni tattiche, realizzazioni ai minimi termini e malcontento dei tifosi. Quella che poteva essere la stagione del suo riscatto si sta trasformando in un’altra occasione persa, con un Melchiorri (anch’esso giocatore dai risvolti caratteriali interessanti, di cui parlammo tempo fa – LEGGI QUI) e un Farias goleador più protagonisti rispetto al nostro.
Bastano gli infortuni per giustificare quella che sembra essere la terza debacle consecutiva? O possiamo iniziare parlare di veri e propri limiti? Caratteriali e fisici, si intende. Sarebbe giusto assodare che da Marco Sau non ci si possa aspettare molto di più di quello che sta dando e si è visto? In caso di risposta affermativa, ovviamente, bisognerà operare in tal senso: in Serie A (eventualmente) servirà il cosiddetto “attaccante da 15 gol“. Che non sembra essere né Melchiorri, mai approdato al piano di sopra, poco avvezzo a stanziare davanti alla porta in attesa della palla da mettere dentro, amante di rincorse piene di sacrificio e contropiede. Non lo è sicuramente Farias, ondivago e sciupone se ce n’è uno. Ma esistono attaccanti diversi e più prolifici di quelli nominati? A dir la verità il Cagliari uno ce l’aveva sotto il naso, quando nell’estate 2014 Leonardo Pavoletti fu ad un passo dal vestire la maglia rossoblù, ma questa è un’altra storia…
Se la risposta fosse invece negativa e Sau fosse posto ancora una volta al centro del progetto, staremmo parlando di una scommessa. L’ennesima, probabilmente meno azzardata rispetto a un nuovo innesto non di primo piano (almeno sulla carta), ma comunque dal discreto coefficiente di rischio.
Le decisioni sul mercato spettano alle società, raccontare le storie agli scrittori, fare cronaca ai giornalisti. Il presente ci dice che Sau è un giocatore che ha segnato 21 gol negli ultimi tre anni, è perseguitato dagli infortuni e non garantisce continuità. In passato ha però dimostrato di poter essere grande, il futuro è tutto da scrivere. In Sardegna? Ci sono ancora poco più di una dozzina di partite da giocare, con una posizione di classifica serena e contro avversari dimostratisi spesso non all’altezza. Il suo futuro passa dai suoi piedi. Ai posteri, o meglio a Capozucca e Giulini, spetterà l’ardua sentenza.
Oliviero Addis