Dinamo, niente sfortuna. Mitchell e la licenza di far così
Un autogol da analizzare, commentare senza trasformarlo in un “auto autogol”. Questa la nostra chiave di lettura sulla caduta di stile di Andrea Cinciarini. Raramente significativa, l’intervista a fine (o metà, cambia poco) gara ha, contrariamente a ciò che succede spesso, regalato spunti al termine della finale di Coppa Italia, tornata nella bacheca di Milano dopo vent’anni. “Mi hanno rubato lo scudetto”, non benissimo Cincia. Attenzione a non parlare quando arriva poco ossigeno al cervello, si rischiano figure barbine come quella di 24 ore fa. Chiaro che non ci fosse alcuna accusa di chissà che tipo alla società sassarese, almeno negli intenti, ma i processi alle intenzioni sono difficilmente eseguibili e pertanto si deve prendere atto delle sue parole antipatiche e fuori luogo. Pronte le scuse, apparse sul profilo ufficiale dell’ex reggiano, ma molto di circostanza (questa l’impressione) e non abbastanza credibili per evitargli la bordata di fischi che lo assorderanno nella sfida tra Dinamo e Olimpia, prevista tra un paio di mesi.
In apertura abbiamo usato un orrido neologismo per definire un pericolo che, conoscendo la poca memoria presente nel mondo dello sport, è molto realistico: far passare in secondo piano quello che è l’aspetto sportivo. Sul parquet del Mediolanum Forum si è vista una Dinamo Sassari troppo brutta per essere vera, “costante nell’incostanza” per dirla alla Calvani, finito nell’occhio del ciclone dopo aver puntato il dito contro Alexander e Mitchell nei commenti a caldo e a freddo del post Coppa Italia. I biancoblù non hanno avuto la forza, l’intelligenza cestistica e gli attributi per avere la meglio sulla compagine di Cremona, priva di Vitali, con McGee a mezzo servizio e che ha ceduto nettamente il passo a Milano nella semifinale del giorno dopo, mettendo in luce i propri limiti e, di riflesso, quelli dei sassaresi.
Come per le dichiarazioni di Cinciarini, il peggio, se possibile, si è visto e sentito in sala stampa. Calvani, non visto di buon occhio dalla piazza, si è scagliato contro Alexander (“Se non fosse questo non giocherebbe in Italia”), rincarando poi la dose su Mitchell, reo di tenere eccessivamente la palla in mano non giovando alla circolazione della palla e, di conseguenza, allo sviluppo di un attacco credibile e capace di mettere in difficoltà le difese avversarie. A proposito dell’ultimo MVP della Serie A, è utile ricordare le parole dello stesso Calvani al momento del suo arrivo in Sardegna: “La squadra sa che l’unico a poter uscire dal sistema di gioco è Logan per il suo background e l’esperienza: Mitchell si inserisce nel nostro sistema ma potrà divagare, come Logan”.
Che effetto avranno le parole del coach romano, ricordando come anche il suo predecessore (Meo Sacchetti) non risparmiasse attacchi diretti ai giocatori venendo criticato per non assumersi le sue responsabilità in sala stampa? Non è dato saperlo, potrebbero abbattere o scatenare un senso di rivalsa che funga da trampolino di lancio per una seconda parte di stagione difficilmente peggiore della prima. Quello che più preoccupa sono le parole di un presidente che, almeno pubblicamente, parla di sfortuna, legge di Murphy e ingenuità. Ridurre la partita di venerdì scorso all’ultimo possesso e al miracolo di Cazzolato sarebbe ingiusto e non la miglior fotografia di una partita da vincere, senza se e senza ma (date anche le condizioni di Cremona), molto prima del 40’ regolamentari.
I sassaresi hanno giocato “uno (Logan) contro cinque” per gran parte della contesa, il “Professore” è stato maestoso ma ha predicato nel deserto, arrivando all’overtime senza la benzina per provare a rivincere una partita che stava portando a casa da solo. Ecco perché in apertura abbiamo ribadito la necessità di dare più peso a questo fattore, rispetto alla brutta e inopportuna uscita di chi, vestendo la maglia della Nazionale, avrebbe potuto contare fino a 10 prima di aprir bocca.
Mauro Garau
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