ESCLUSIVA – Tennis, Mazzella: “Top 1000 punto di partenza. Ai circoli sardi manca umiltà”
E’ notizia fresca di qualche giorno l’approdo di Manuel Mazzella tra i primi 1000 al mondo, il secondo sardo a riuscirci dopo l’ex “enfant prodige” del tennis nostrano Stefano Mocci. Un risultato importante per tutto il movimento, che premia un ragazzo volenteroso e dedito al sacrificio. Nato a Dorgali e cresciuto nel circolo gestito dal padre Alberto, Manuel ormai da un po’ di anni non ha rivali in Sardegna, facendosi valere anche in tornei internazionali di prestigio. Mancino potente e rapido, in esclusiva ai microfoni di Sardegnasport.com, ci ha raccontato cosa si prova a raggiungere un traguardo così importante, senza dimenticare le sue origini e i suoi avversari “storici”. Passando da un’analisi del tennis sardo, fino all’ammirazione per i grandi dello sport mondiale.
Manuel Mazzella figura tra i primi mille della classifica ATP, cosa provi quando ci pensi?
Ti dico la verità, sono ovviamente contento, è un bel risultato, ma alla fine quando uno lavora e si impegna per fare il massimo queste cose possono capitare, anzi devono essere normali. Penso che anche molti altri giocatori possano raggiungere questo obbiettivo, non mi sento superiore a nessuno, come per esempio ad Antonio Zucca. Questa volta è toccato a me, magari in futuro toccherà a lui. Per ora prendo tutto come uno stimolo, non mi sento arrivato. Semplicemente non ho avuto fretta, mi sono preso il mio tempo e ho superato anche dei momenti difficili, come capita ad ogni sportivo di qualsiasi disciplina, è tutto normale. Sono stato bravo nelle ultime settimane ad aumentare il livello, giocare meglio ed ottenere questo risultato.
Dai campi di Dorgali al professionismo, raccontaci un po’ la tua carriera.
Ho iniziato a giocare a casa mia con mio padre Alberto, e fino ai 18 anni mi sono sempre allenato con lui. Inizialmente è tutto nato come la classica passione trasmessa dal proprio genitore, ma da bambino ero comunque tra i più bravi in Sardegna, e così ho continuato su questa strada. Durante l’infanzia e l’adolescenza ho fatto tanti tornei anche fuori dalla mia regione, che mi hanno permesso di conoscere molte persone e dopo la maggiore età di fare esperienze in giro per la penisola. Che sicuramente mi hanno migliorato, sia quelle positive che quelle negative: tutto ha contribuito ad una crescita.
Esperienze in “continente” che possono essere state utili anche visto lo scarso livello di competitività del tennis nostrano…
Purtroppo ultimamente la competizione non è il massimo. Quando avevo sedici anni c’era un numero di tornei e di ottimi giocatori sicuramente superiore. Mi vengono in mente i vari Mocci, Demontis, Rodighiero, Calia e tutti gli altri che mi sto dimenticando. Erano tornei di altissimo livello, anche rimanendo in territorio regionale. Adesso sia io che Zucca e Asara, dobbiamo uscire dalla Sardegna per fare qualcosa in più. Rimaniamo ovviamente tutti legati alle nostre radici, ma attualmente per fare bene nel tennis non è pensabile non uscire dall’isola e confrontarsi con altre realtà.
Come si può far ripartire il movimento tennistico isolano?
C’è sicuramente tanta buona volontà nelle scuole tennis, ma, e non credo sia un problema solo sardo, non c’è tanta voglia, o meglio abbastanza umiltà, per confrontarsi con gli altri. Con gli altri maestri, con altre realtà e con altre situazioni. Tutti pensano di essere più bravi e nessuno si confronta con nessuno. Questo è ciò che di peggio può accadere nel nostro sport. Io viaggiando mi sono reso conto che entrando in contatto con ciò che è diverso da noi non si smette mai di imparare, che può sembrare una frase fatta ma è l’assoluta verità. Chiunque, anche chi non ti aspetteresti, può darti contenuti per la tua crescita. Secondo me questo aspetto manca. Non da parte di tutti ovviamente, parlo del movimento in generale.
Per te è iniziata durante questa stagione una nuova avventura in Svizzera con il coach Gonzalo Vitale.
In Svizzera ho imparato che i treni arrivano in orario e sono pulitissimi (ride ndr). Scherzi a parte, è una bellissima esperienza. Il mio coach è uruguaiano ma vive da tanti anni qui. Lui è il classico sudamericano con il sangue latino e l’animo caloroso, ma è riuscito a prendere tutti i lati positivi degli elvetici. E’ una persona onesta, precisa, puntuale e questo è un ottimo mix. Mi sta aiutando tanto, ed oltre allenarmi mi ha chiesto di dargli una mano con dei ragazzi che segue. Anche questo mi ha fatto maturare come giocatore, e prima non ci avrei mai pensato. Lui mi dice sempre che “Le orecchie più vicine alla bocca sono le mie”, quindi quando io do dei consigli ad altre persone sono il primo a recepirli.
In cosa ti senti di essere migliorato?
Non sto lavorando su qualcosa in particolare, lavoriamo su tanti aspetti, e sopratutto su quello mentale, che è la cosa più importante. Lui riesce sempre a tirare fuori il meglio da me stesso, non mi dice che arriverò tra i primi dieci del mondo, ma lascia tutto nel dubbio. Lavoriamo per cercare di migliorarci, e questo mi dà serenità. Molte volte quando qualcuno ti sottovaluta o sopravvaluta ti metti delle pressioni da solo che sono deleterie.
La nostalgia di casa che ruolo gioca in questo momento della tua carriera?
In realtà torno abbastanza spesso, anche perché gioco il campionato con il Margine Rosso. Quando sto lontano per un po’ più di tempo ovviamente sento la nostalgia, mi manca la mia terra. Però non mi posso lamentare, qua in Svizzera sto molto bene.
Obbiettivi futuri: il ranking da migliorare?
L’obbiettivo è sempre migliorare se stessi. Non mi piace pensare al ranking, e credo che non sia neanche giusto dire che posizione si può raggiungere. E’ più corretto allenarsi ogni giorno e poi dove arrivi arrivi. Ripeto, le pressioni è sempre meglio scrollarsele di dosso.
La stagione sta volgendo al termine, c’è tempo per qualche torneo finale o si pensa già al prossimo anno?
Per quest’anno, almeno per l’attività internazionale, penso di aver finito. Avevo in programma un torneo in Turchia, ma per una serie di motivi abbiamo deciso di non andare. Le opportunità erano Turchia, Tunisia e Egitto, ma non mi sembra il momento adatto per raggiungere quei posti. Forse farò qualche Open, mentre non so ancora per il prossimo anno, sto aspettando l’uscita del calendario dei tornei. Continuerò a giocare con il Margine Rosso, questo è sicuro.
Torniamo in Sardegna, con uno sguardo agli Under. Tra i prospetti più interessanti del tennis sardo si è sempre parlato molto di Diego Morelli, ora su chi ti sentiresti di scommettere?
L’ultima volta che ho visto Diego abbiamo parlato e mi ha confessato essere un momento duro per lui. Ha subito una perdita famigliare importante, quindi non sta passando un periodo felicissimo. Io sono un po’ fuori dal giro degli Under, l’unico che mi viene in mente in questo momento è Niccolò Pes, un ragazzo di Nuoro. Gioca bene e ha importanti margini di crescita, ma probabilmente ce ne sono tanti altri che non ho mai visto giocare. Dico lui perché è quello che conosco meglio.
Il primo nome che ti viene in mente se ti chiedessi l’avversario, tra i sardi che conosciamo, dal quale hai imparato di più.
I ricordi più belli e i migliori insegnamenti ce li ho avuti tutti dalle partite con Gino Asara, ogni incontro giocato con lui mi ha lasciato qualcosa. Probabilmente non è l’avversario più forte con cui abbia avuto a che fare, Mocci quando era in forma era di un altro livello per tutti, ma sul piano umano stiamo parlato di uno degli esempi migliori da presentare ai ragazzi. Per la persona che è e per quello che ha fatto. Quando perdevo con lui ovviamente ero sempre arrabbiato, ma preferivo essere sconfitto da Gino che da dagli altri, e siamo sempre andati d’accordo in ogni momento.
Tra quelli che invece si ammirano in televisione, da chi ti sei sentito ispirato nel proseguo della tua carriera?
Da bambino mi piaceva Rafter. Giocatore australiano tutto serve and volley, amavo il suo gioco offensivo ed inoltre mio padre era un suo fan, quindi penso mi abbia contagiato lui. Poi crescendo mi sono ispirato a Marcelo Rios, mancino come me. Era un tennista estroso, mai banale.
Il tuo sportivo preferito, tennistico e non.
Il mio tennista preferito è Federer, è il numero uno, tuttavia non sono un fanatico. A quei livelli sono tutti dei fenomeni, Djokovic è una macchina imbattibile, Nadal è impressionante. Murray, Ferrer e gli altri idem: sono tutti degli eroi. Mentre tra gli sportivi in generale penso che il più grande in assoluto sia stato Micheal Jordan. Anche se non ho mai giocato a basket e non sono un esperto, lui è il migliore di tutti i tempi. Quello che ha creato non è da tutti, è stato qualcosa in più di un giocatore NBA.
Oliviero Addis