Conti saluta il Cagliari: “Non riuscivo più a garantire dedizione mentale. Retrocessione peccato imperdonabile”
“Da oggi non sono più un calciatore del Cagliari”. Dopo le lacrime di ieri, al termine di Cagliari-Udinese, Daniele Conti ha scelto di salutare i tifosi rossoblù con una lunga e commossa lettera d’addio pubblicata stamani da L’Unione Sarda. L’ormai ex capitano spiega le ragioni della sua scelta (maturata già da diversi mesi), e rivolge un pensiero a tutti coloro che lo hanno accompagnato nell’oltre quindicennale avventura isolana, da Massimo Cellino ai compagni, passando per direttori sportivi, magazzinieri e medici.
“Sapevo che prima o poi sarebbe successo, certo non immaginavo che sarebbe stato così difficile e doloroso. Tra l’altro, ho un carattere introverso e riservato, le feste, le celebrazioni e i saluti in generale non fanno per me. A maggior ragione in questo momento, con la rabbia e la delusione per una stagione nera, triste, tanto da levarmi il sonno. Ecco perché spero, con queste righe, di riuscire a spiegare le ragioni della mia scelta e descrivere le emozioni che provo al termine di un percorso lungo, intenso e speciale. E vogliate perdonarmi se dimenticherò qualcosa o qualcuno.
Ho deciso di terminare qui la mia avventura con il Cagliari perché, pur sentendomi ancora un calciatore fisicamente integro, ho avuto il dubbio di non essere più in grado di garantire, come ho fatto sinora, quella dedizione mentale, nel senso più ampio del termine, che questa maglia merita a prescindere dall’importanza di una partita e dalla categoria. Una scelta sofferta, la più sofferta, maturata sei mesi fa. Purtroppo vado via con un rimpianto che mi stritola ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo. Non essere riuscito ad aiutare la squadra a evitare la retrocessione è un peccato che non mi perdonerò mai e rende questo momento ancora più amaro. Tifo e spero con tutto il cuore affinché il Presidente Giulini riporti al più presto il Cagliari dove merita di stare. In questo momento sono piuttosto confuso. Non so ancora che cosa mi riserverà il futuro, ma ho ben presente tutto ciò che ha rappresentato per me il Cagliari in questi sedici anni.
Ne avevo 19 quando sono arrivato, ero un ragazzino. Il Presidente Cellino ha subito creduto in me, mi ha sostenuto e poi formato come calciatore e come uomo. Il suo esempio è stato importante. Mi ha trasmesso l’attaccamento e la passione per questi colori. Mi ha aiutato a capire quanto sia giusto, in campo ma non solo, prendersi le proprie responsabilità e non abbassare la testa di fronte ai problemi o agli avversari che sembrano più forti. Certo, con lui ho avuto anche parecchi scontri, talvolta accesi e duri, ma sempre leali, e non hanno mai intaccato la stima reciproca ma soprattutto avevano come unico obiettivo il bene del Cagliari, diventato una priorità per entrambi. Accanto a me compagni di squadra e di vita. Porterò per sempre nel cuore le tante battaglie sul campo, gli allenamenti, i ritiri, le sofferenze, le gioie così come i dolori, i sorrisi e le lacrime che ho avuto l’onore di condividere con persone eccezionali. Diego, Ago, Andrea e Checco: erano semplici compagni di squadra, sono diventati amici per sempre. Con loro, negli anni, la maglia rossoblù è diventata la mia seconda pelle e i volti di questa società come una famiglia che mi ha sostenuto e voluto bene. Mi riferisco a Marroccu, Stagno, Sanfelice, ai medici Scorcu, Mura e Piras, al professor Ibba, ai fisioterapisti Tore, Francesco e Simone che mi hanno supportato e sopportato. E ancora i magazzinieri, il mitico Mario, Gigi e poi Marco, Suresh, il personale del nostro centro sportivo, Tore, Roberto, signor Mascia, ma anche gli impiegati della club house di Assemini e del Sant’Elia e tutte quelle persone, ci vorrebbe un giorno intero per ringraziarli uno per uno, che mi hanno sempre dimostrato stima e affetto.
Avevo già conosciuto la Sardegna in vacanza, ma solo vivendola mi sono reso conto quanto sia speciale questa terra nella quale mi rispecchio ogni giorno di più. Inizialmente chiusa e diffidente, poi ti accoglie a braccia aperte e ti fa sentire a casa con rispetto e semplicità. Poi ancora i colori, i profumi, il clima, l’affetto che mi travolge dal primo mattino quando accompagno i miei figli a scuola sino alla sera, al rientro dall’allenamento. Una sensazione indescrivibile che ha stregato la mia famiglia e ha contribuito a far sì che l’amore per questa terra e per questa maglia fossero più forti delle offerte professionali che, nel corso della mia carriera, ho ricevuto, gradito ma sempre declinato senza esitazioni. E anche se da oggi non sono più un giocatore del Cagliari, questa città e questa isola continueranno a essere la mia città e la mia isola. Perché la vita della mia famiglia continuerà a ruotare attorno alla scelta fatta sedici anni fa. Mi mancheranno, invece, i brividi che provavo ogni volta che indossavo la maglia del Cagliari prima di entrare in campo. E mi mancheranno loro, i tifosi, la carica, l’incitamento. In questi anni ho potuto toccare con mano la passione incondizionata dei ragazzi della Nord. Ci hanno seguito e sostenuto anche nei momenti più bui, persino durante il nostro “esilio” a Trieste. Li ho visti piangere per le sconfitte e gioire per le vittorie. Un’emozione dietro l’altra. E quando ho sentito la curva dedicarmi quel coro, lo ammetto, mi tremavano le gambe. Un gesto semplice e spontaneo, ma so che per loro ha un grandissimo valore. Ebbene, lo ha anche per me.
Siamo ai titoli di coda, dunque, di un fantastico film che mi ha cambiato per sempre, e non solo dal punto di vista professionale. Quanti momenti, quante emozioni. E chi se lo scorda più il gol al Napoli al Sant’Elia o quello alla Roma all’Olimpico. Ricordo bene quella corsa mentre mostravo orgoglioso a tutto lo stadio la maglia del Cagliari. O ancora gli abbracci con i miei figli Bruno e Manuel dopo le doppiette al Torino, sembravano scritte nel destino. Ho il Cagliari tatuato sulla spalla e nel cuore e anche se volessi non potrei mai levarmi di dosso questi colori. E vedere i miei figli indossare quella maglia nelle giovanili rossoblù mi rende felice, un bambino come loro. D’ora in poi non sarà più la stessa cosa. Ogni tanto, magari, per consolarmi rivivrò i miei gol ascoltando le radiocronache di Vittorio Sanna. Magari da solo, perché so già che mi verrà da piangere. Anche se poi, più che i gol, il record di presenze o la fascia da capitano (che per me rappresentano comunque un onore immenso), spero che la gente ricordi soprattutto il mio amore incondizionato per questa maglia e per questa terra. Ho dato tutto me stesso per il Cagliari e il Cagliari ha trasformato la mia vita in un sogno. Per questo oggi mi sento un uomo triste ma fortunato. Grazie”.
Daniele Conti
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