Diego Lopez e quel feeling mai nato con Bologna: ne farà tesoro?
Ci sono un uruguaiano, un americano e una città, Bologna, tra le più nobili d’Italia. Purtroppo per Diego Lopez però questa non è una barzelletta ma la ricostruzione di un rapporto forse mai sbocciato, nato tra molte aspettative (e incognite) e concluso in un clima di delusione generale. Si perché nello scorso luglio, quando l’ex capitano del Cagliari venne ingaggiato dai felsinei, le prospettive erano di ben altro tono. Il Bologna puntava a una rapida risalita in A e Lopez, dal canto suo, si preparava a muovere i primi passi della sua nuova carriera lontano dalla casa madre (adottiva) che per anni lo ha visto nelle vesti di condottiero, seppur in diversi ruoli.
Le attese emiliane nel corso della scorsa estate parlavano di un Bologna facilmente pronosticabile come candidata alla promozione in A e, al netto del marasma regnante in società con annesse penalizzazioni, l’eventualità di passare una stagione all’inseguimento del piccolo Carpi neopromosso appariva come assurdità. Lopez così, nonostante una campagna acquisti deficitaria a causa dei problemi economici societari, ha vissuto dieci mesi sul filo del rasoio tra le pressioni di una piazza smaniosa di ritornare in A e un gioco che stentava a decollare. Dopo le prime due partite stagionali (sconfitte interna contro L’Aquila in Coppa Italia e a Perugia al debutto in campionato) sono così emerse le prime crepe nel legame tra la piazza bolognese e il tecnico, sul quale ha pesato anche un carattere poco incline ai compromessi e decisamente poco mediatico rispetto ad altri suoi colleghi. Perché come emerso anche dalle parole di Cellino, Lopez è quello che gli argentini definirebbero un hombre vertical, personaggio dotato di una linea e una coerenza in virtù delle quali difficilmente piega le sue idee.
La scossa nella stagione (e nella storia) del Bologna, e inevitabilmente anche di Diego Lopez però, arriva dopo quasi due mesi dall’avvio del campionato. In una tarda serata di metà ottobre infatti, una cordata guidata da Joey Saputo e Joe Tacopina, rispettivamente magnate canadese e avvocato newyorchese (per la cronaca, il difensore di Amanda Knox), rileva le quote di maggioranza di un Bologna allo sbando societario ed economico. Un’operazione economica e ancor prima mediatica in grado di far sognare una città intera, letteralmente ai piedi dell’americain che tra un selfie e un’intervista si impegnava a riportare il Bologna ai fasti di un tempo. Insomma, non proprio il personaggio più affine a un gran lavoratore piuttosto parco con le parole come Lopez. E poiché, come l’esperienza insegna, un cambio di proprietà comporta spesso anche dei terremoti sull’aspetto tecnico delle squadre, ecco che il futuro instabile dell’uruguaiano è divenuto il ritornello più in voga sotto i portici della Dotta, una panchina la cui precarietà era oggetto di dibattito in ogni angolo della città e sulla quale ad ogni prova incolore si addensavano le nubi.
E se le aspettative erano già di per se alte, ci ha pensato il mercato di gennaio ad alzare ulteriormente l’asticella. Una campagna acquisti condotta da quel Pantaleo Corvino che ha portato in rossoblù, tra gli altri, giocatori come Gastaldello, Sansone e Mancosu. Giocatori in grado di spostare gli equilibri, in linea con i proclami societari, ma difficilmente assemblabili in poco tempo quando inseriti in un gruppo già folto di talenti. Lopez ha così perso la bussola, dando poco spazio ai nuovi e mettendo in discussione i vecchi, ruotando vorticosamente gli elementi producendo risultati altalenanti e gioco da sbadigli.
L’arrivo della primavera segna infatti l’inizio della crisi del Bologna. Perché se fino a marzo gli 0-0 del Dall’Ara si accompagnavano a un impeccabile ruolino di marcia in trasferta, l’ascesa del Vicenza e del Frosinone ha messo in luce la crisi felsinea. Lopez ha esaurito il credito, il 2-1 di Frosinone (ora a un passo dalla promozione) gli è costato il posto a beneficio di Delio Rossi, che invero non è partito granché bene (1-1 casalingo contro l’Avellino).
Il Bologna ora si trova al quarto posto, con la promozione diretta simile ad un miraggio e anche il miglior piazzamento playoff in forte dubbio. Lopez ci ha messo tanto del suo, evidenziando i limiti tattici già emersi a Cagliari, quando molti dei suoi ex compagni vivacchiavano sul campo conquistando la mediocre salvezza. El Jefe, che sotto le Due Torri faticherebbe a trovare qualcuno disposto a difenderlo, non ha mai trovato il bandolo della matassa in un gruppo di alto livello tecnico, rimpolpato forse non nella maniera più adatta a gennaio. Vero che gli innesti sono stati da Serie A, altrettanto innegabile come un intervento così massiccio abbia intaccato equilibri e rapporti interni faticosamente allestiti: da Mancosu che si inserisce nella corsa al posto con Cacia e Sansone al dilemma portiere tra Coppola e Da Costa. Appena arrivato l’ex Sampdoria, Lopez lo promosse titolare; dentro Coppola che giocò a Frosinone, poi Delio Rossi ha scelto il brasiliano per la sua prima. Della serie: poche idee ma confuse.
Quella di Bologna dovrà essere un’esperienza formativa per un tecnico ancora giovane come Lopez, che viene accusato dai suoi detrattori di ragionare ancora come un calciatore. Ma se sulla professionalità non ci sono dubbi, è apparso evidente, in questa stagione, come Lopez necessiti ancora di tempo per diventare un tecnico di primo livello. Consapevole che nel prosieguo della sua carriera, i tifosi sardi avranno sempre un occhio di riguardo verso quel caparbio, lottatore, cagliaritano di Montevideo.
Stefano Sulis