Ciclismo – Dopo tre giorni… il Giro si scalda
La tre giorni irlandese, come previsto, non ha detto nulla di particolare sul destino del Giro d’Italia. Ha però confermato alcune certezze: che Kittel sarebbe stato il velocista più forte in questa corsa rosa, e che il meteo in Irlanda è estremamente instabile. A farne la spese, nel primo caso, i velocisti italiani Viviani, Nizzolo, Ferrari e il francese Bouhanni; nel secondo, Daniel Martin. Il capitano della Garmin (in coabitazione con Hesjedal) è caduto, insieme a tre suoi compagni, durante la cronometro a squadre inaugurale, riportando una frattura scomposta della clavicola che l’ha costretto al ritiro.
Lo stesso Hesjedal ha perduto in tale circostanza più di tre minuti. C’è da attendersi qualche suo tentativo di fuga nei prossimi giorni. Tante le cadute nelle due tappe successive, una delle quali ha visto coinvolti anche i ragazzi dell’Astana, con Scarponi, Agnoli e Gasparotto finiti a terra sull’asfalto umido e coperto di foglie. Nessun problema per Fabio Aru. Ora la corsa, dopo il lungo trasferimento e il giorno di riposo, sbarca finalmente in Italia.
Giovinazzo-Bari la tappa di martedi. Per velocisti. Dunque per Kittel. Poi le prime tappe mosse, con due arrivi in salita non particolarmente difficili, ma che taglieranno fuori i velocisti e mostreranno le prime scaramucce, magari per aggiudicarsi l’abbuono (10 secondi al vincitore di tappa), tenendo conto che Joaquim Rodriguez ha già 1 minuto e mezzo di ritardo da Evans e Uran, e vorrà recuperare quanto prima. Aru si ritrova a 52 secondi dalla maglia rosa, dunque a mezzo minuto da Evans. Tutto secondo copione.
Scarponi approfitta invece di un buco per guadagnare 11 secondi su alcuni rivali della generale. Niente di eclatante. Il vero Giro inizierà questo finesettimana, con le prime tappe di montagna (Appennini). Ma guai a sottovalutare le tappe sulla carta più facili. L’insidia è sempre dietro l’angolo. Una caduta, una foratura in un momento chiave, un attacco inaspettato che sconvolge la corsa. Insomma, occhi aperti, sempre.
Fabrizio Porracchio