Cagliari, l’analisi – Pinilla ruggisce, la curva lo abbraccia: bentornato Cagliari. E se Ibarbo fosse sempre Ibarbo…
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Mauricio Pinilla autore del decisivo 2-1 grazie al quale il Cagliari ha superato il Catania
Era già successo il 7 aprile 2012, in occasione della prima gita giuliana di quella che, contrariamente ai proclami, sarebbe stata la prima di una lunga serie. Conti sparò in mezzo un cross al bacio e Pinilla spiazzò Castellazzi schiacciando di testa il pallone prima quest’ultimo proseguisse la sua traiettoria di rimbalzo sul palo lontano. Chi ricorda il cileno bella statuina inerpicata sui cartelloni pubblicitari davanti alla curva migrante in visibilio? E chi il direttore Guida zelante e insensibile nell’applicare un regolamento tanto beota quanto incomprensibile che valse il secondo giallo per il bomber? Eccesso di esultanza…un modo come un altro che il contraddittorio calcio di oggi ha trovato per manifestare tutta la propria ridicolezza. La manifestazione della gioia, se non offensiva nei confronti del vinto o volgare nella sua esecuzione, non andrebbe mai punita. Chi stabilisce il limite dell’eccesso? E in base a quale scala di valori?
E’ successo ieri, di nuovo, stavolta però il giallo era il primo. Sabato 19 ottobre 2013, una data che verrà consegnata agli almanacchi come quella del riapprodo in Sardegna della squadra che l’Isola calcistica rappresenta in tutta Italia. Dopo quasi 20 mesi di vagabondaggio, guerre, minacce, galera e informazione isterica e deviata, il Cagliari ha fatto ritorno a casa propria. Poco importa se in uno stadio oggettivamente fatiscente, genitore di un impianto mobile che ne occupa il suolo interno e di un cantiere dislocato dirimpetto alla Sud. Non c’erano occhi ieri per tutto questo. L’immagine più bella di una pomeriggio fortunatamente vittorioso per i rossoblù è coincisa con i fotogrammi del recidivo scalatore delle Ande che si tuffa nell’onda umana, finalmente scaricata della rabbia frustrata e repressa in questi mesi di passione, esultante per il gol del vantaggio. Dietro quell’abbraccio, simbolico e concreto allo stesso tempo, c’è la riconciliazione tra tifo e sport, uomo e religione, che può e che dovrebbe sublimarsi anche in altri contesti. Perché il calcio, in fondo, è solo una bella metafora dell’esistenza, uno strumento per addolcire e allo stesso tempo interpretare la realtà. Un’opportunità per migliorarsi, non il traguardo finale. In attesa che chi di dovere recepisca il messaggio, possiamo e dobbiamo festeggiare un Sant’Elia riconsacrato nel migliore dei modi tra i templi dell’élite calcistica nazionale.
Il Cagliari adesso è una squadra normale. Finita la vita itinerante, i ragazzi di Lopez possono completare il processo di maturazione e puntare dritti verso qualcosa di più prestigioso rispetto a quanto conseguito negli ultimi anni. Non c’è più bisogno di ripetere per l’ennesima volta la classe della salvezza, è giunto il momento di iscriversi all’università e pretendere l’alloro. La partita di ieri è stata tatticamente ingiudicabile perché variabili e imprevisti – ben vengano se a favore dei rossoblù – hanno cambiato il volto al match, ma alcune riflessioni sono comunque doverose. Partendo dalle buone notizie, il Cagliari conferma di avere una precisa identità di gioco, piacevole alla vista e al di là di tutto anche abbastanza efficace. La squadra gioca bene, i singoli si muovono sempre in sintonia con i propri compagni e questo rafforza sicuramente la solidità dell’insieme. Il fraseggio multidirezionale, l’inserimento nello spazio, la sovrapposizione sono tutti esercizi entrati ormai pienamente nel DNA dei rossoblù.
Ma il rovescio della medaglia, ieri, si è visto più splendente che mai, specie nel primo tempo, quando in parità numerica il Cagliari ha subito l’intraprendenza etnea andando nel pallone in svariate circostanze. Non si contano, infatti, gli errori in fase di disimpegno di Astori e Rossettini, così come sarebbe da archiviare al più presto la sciagurata prestazione di Cabrera (urge ritrovare lo spessore di Ekdal al più presto), che ancora non riesce a smentire totalmente gli scettici, alternando prestazioni positive a preoccupanti passaggi a vuoto che fanno dubitare se in questa Serie A ci possa stare o meno. Troppe leggerezze dei singoli e il solito, puntuale, errore di posizionamento nei calci piazzati che è costato il vantaggio iniziale di Bergessio. Una manchevolezza palesata sin dalle prime uscite di precampionato a cui mister Lopez dovrà assolutamente porre rimedio. Va bene che il Cagliari si sta dimostrando squadra capace di ribaltare i risultati (9 punti su 10 sono frutto di rimonte), ma è impensabile confezionare con così tanta facilità regali del genere ad avversari che di regali non hanno proprio bisogno.
Detto di Cabrera e Astori (ma non avrà ragione chi si rifiuta di spendere la somma in doppia cifra richiesta?), Cagliari-Catania di ieri
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Victor Ibarbo, ieri migliore in campo
non può che fare rima con Victor Ibarbo. Si presentò ufficialmente al pubblico italiano il 4 dicembre di due anni fa abbozzando un giro di campo lungo il perimetro del Massimino prima di ricordare ai presenti (Legrottaglie, do you remember?) che in realtà aveva scelto la strada più lunga solo per ridicolizzarli e per depositare in rete il suo primo gol in Serie A facendolo sembrare la cosa più naturale di questo mondo. Ieri ha voluto sfornare il bis. Sinceratosi che l’ex centrale della Juventus è sempre lo stesso, forse solo un po’ più legnoso, dopo un avvio un po’ claudicante, ha deciso che sarebbe stata la sua partita e si è guadagnato di prepotenza la copertina. Gol stratosferico da fuoriclasse assoluto, velocità letale, uomo assist. Il rigore sbagliato, passa quasi in secondo piano. Con il colombiano siamo alle solite: se giocasse su questi livelli due terzi del campionato, il Cagliari potrebbe senza alcun problema coabitare permanentemente negli ultimi piani della classifica. Anche perché Sau non è certamente il giocatore malinconico e a tratti evanescente visto ieri e quando anche lui ritroverà il guizzo dei tempi migliori, con un pizzico di fortuna, questo Cagliari getterà via il binocolo e prenderà la scala.
Matteo Sechi
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