… Stefano Michelini: “I miei anni a Sassari furono eroici. Dinamo costruita per vincere, ma serve qualcosa in più del ‘corri e tira’”
La schiettezza lo ha colto sin dalla culla e non lo ha mai abbandonato, accompagnandolo in palestra, in panchina e anche a bordo campo, quando è chiamato a dare il suo parere su quello che fanno gli altri. Coach Stefano Michelini ha la Sardegna nel cuore, e forse anche nel sangue, da quando 18 anni fa sbarcò per allenare una Dinamo Sassari le cui uniche ricchezze erano la passione della piazza e il carisma dello zoccolo “indigeno” guidato da Emanuele Rotondo. Allora il suo carattere si scontrò con quello di giocatori dalla grande caratura morale, adesso la voglia di dire quello che pensa non viene silenziata dal “politicamente corretto” che talvolta permea i microfoni.
Coach, partiamo dal basket azzurro. Vinciamo inaspettatamente l’Europeo under-20, ci prepariamo ad un Europeo dei “grandi” con ottime individualità ma molte incognite.
“La vittoria dell’Europeo under-20 è il premio alla qualità e alla continuità del lavoro di un grande conoscitore della pallacanestro quale è Pino Sacripanti. Ha avuto la capacità di trasformare i limiti del gruppo in elementi di forza atti a superare avversarie più quotate. Per quanto riguarda il gruppo di Pianigiani, peserà l’assenza di Gallinari. Bisogna ripartire da quanto di buono è stato fatto nell’estate 2012, con quel girone di qualificazione eccellente”.
Parliamo di Dinamo. C’è qualcosa che non è stato detto sulla chimica di squadra che si era creata tra Michelini, i sassaresi, gli americani e la società?
“Il mio amore per la Sardegna è cosa nota. Sono tornato pochi giorni fa e la gente mi ha riconosciuto il fatto di aver sempre parlato chiaro, di aver messo la faccia in tutte le situazioni, agendo per il bene della squadra e della città. Quando vengo nella vostra splendida isola qualcuno mi paragona a voi sardi, schietto ma senza parlare troppo, proprio come i sardi. Il mio atteggiamento fu decisivo per avere a che fare con ragazzi di grande personalità, forti non solo con il pallone a spicchi in mano”.
Che anni furono quelli al PalaSerradimigni?
“Eroici, quando arrivai non c’erano grandi risorse ma ottenemmo risultati che soltanto la magnifica creatura di Meo Sacchetti è riuscita a migliorare. Avevamo 4 sassaresi nel roster, uno in quintetto come Emanuele Rotondo e poi Dario Ziranu come sesto uomo. Molti non ritenevano Dario pronto per certi palcoscenici, ma si dovettero ricredere. E poi i Giordo, i Zanetti, Federico Rotondo, uomini che erano tasselli fissi attorno ai quali costruire la squadra ogni anno”.
Una squadra che cambiava spesso. Fu questo il freno per uno sviluppo che sarebbe arrivato una decina di anni dopo?
“Ogni anno saldavamo i debiti con il budget a disposizione. Dovevamo fare i salti mortali, ma riuscivamo a sistemare le cose tenendo i problemi lontani dalla squadra e anche dalla gente. Allora non c’era la possibilità di programmare, cambiavamo 6 giocatori ogni anno e bisognava sempre ripartire”.
Dino Milia e Stefano Sardara, personalità diverse ma in grado di cementare una Sassari che vive di basket come poche altre città italiane.
“Sardara sta facendo un lavoro straordinario. Coinvolge tutta l’Isola, ha creato grande identità e coinvolto tutto un territorio in questa avventura che rappresenta ossigeno in un periodo difficile. Milia e Sardara sono uniti dal carisma, io sono legato da un grande affetto a Dino Milia, che proprio come Sardara vanta capacità di convincere addetti ai lavori e tifoseria della bontà dei propri progetti e sogni, che sembrano irrealizzabili invece stupiscono sempre”.
Nel 1998 si arrivò a un passo dalla Serie A. Che squadra era quella sconfitta in semifinale da Pozzuoli?
“Si lavorava duro, spremevo i giocatori e venivo accusato di essere troppo duro. Qualche scontro celebre ci fu, però alla fine George Banks, che sembrava essere il mio acerrimo nemico, mi ha chiesto di allenarlo nel suo ultimo anno da giocatore, in Ungheria. Queste sono cose che fanno piacere, che fanno capire il rapporto umano instaurato”.
E’ stata l’estate del “balletto” su Travis Diener. Uno dei campioni più amati, alla fine però non si poteva più aspettare. Giusto così?
“La società ha fatto le sue scelte, sinceramente ora come ora non prenderei Travis Diener per giocare in coppia con Marques Green. Due giocatori simili, ai quali bisogna dare fiducia e sulle cui mani vanno messe le sorti dell’attacco”.
E’ una Dinamo che è cambiata molto. Rivoltata come un calzino ma fedele al “corri e tira”. Solo spettacolo o si può anche vincere?
“Guardando alla squadra che si sta costruendo, mi pare che si punti ad aggiungere fisicità ed atletismo sotto canestro. La pallacanestro di Sacchetti è bellissima, ma ovviamente legata alle percentuali di tiro. Quando si gioca ogni due giorni, come nei playoff, serve qualcosa in più rispetto alle bollicine, il gioco interno diventa fondamentale”.
Mancano due tasselli, su chi punterebbe?
“Leggo di Fernandez, un play-guardia che mi piace molto per quanto ho visto commentando la Legadue. E’ uno tecnico, ottimo passatore, conoscenze di questo sport elevate. La sostanza è che bisogna dare le chiavi di casa a Green e proteggerlo nelle fasi di gioco in cui soffrirà, come negli uno contro uno difensivi. Johnson non si discute, e Omar Thomas, se sarà quello ammirato ad Avellino, è un giocatore mostruoso con pochi eguali. Mi pare che il mercato non sia stato malvagio (ride ndr)”.
Una squadra, dice qualcuno, un po’ in là con gli anni.
“L’obiettivo della Dinamo, parliamoci chiaro, è vincere subito. Meo Sacchetti è un grande gestore, non penso che voglia programmare nel lungo periodo. Ha voluto un gruppo pronto per vincere e pensa che siano i giocatori adatti. Poi la Dinamo lavora sotto traccia, con gente come Tessitori e Spissu. E’ una squadra fatta per vincere con un gioco conosciuto, spettacolare. Normale che nei playoff, specie questi lunghissimi che sono stati varati, si possa soffrire dal punto di vista fisico”.
Campionato ancora indecifrabile. Chi sale e chi scende?
“Venezia è una squadra pronta, ha completato e fatto investimenti. Avellino, dal punto di vista dei proclami, sembra puntare in grande. Varese cambierà tanto, di Cantù si sa poco, Siena pare decisa a ridimensionare ma abbiamo visto cosa ha combinato poche settimane fa con l’ennesimo scudetto. E poi c’è Milano, che disprezza Siena ma alla fine compra, puntando tutti gli ex Montepaschi (dopo Hairston, si parla di Hackett e Moss ndr)”
L’amata Sardegna ha partorito anche il suo ambasciatore negli States, Gigi Datome da Olbia.
“Sardo silente sempre presente, così mi piace definirlo in telecronaca. Ha aggiunto qualcosa al suo bagaglio, è un ragazzo sereno ed equilibrato. Sono convinto che possa dire la sua in NBA, se sei uno specialista, e lui lo è, puoi dire la tua ritagliandoti il tuo spazio”.